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Viaggiare flessibili
Sono tempi mobili.
La precarietà ci assedia ed erode certezze, sistemi, relazioni.
Provvisorietà, contrassegnata dall'attesa di un peggioramento.
Ecco. Questa è la precarietà.
Un corvo nero sulla spalla.
La precarietà che fino a ieri relegavamo ai versi immortali di Ungaretti: ” Si sta come d’autunno sugli alberi le foglie”, ora s’insinua in tutti gli aspetti della nostra esistenza e non ci chiede il permesso per entrarci.
Siamo noi le foglie, attaccate all’albero dell’umanità, e ci troviamo a inventare un nuovo capitolo della storia, non solo la nostra. Ma quella collettiva.
A dire il vero siamo chiamati a ri-parafrasare un capitolo che già conoscevamo.
O perlomeno il nostro DNA dovrebbe rammentare.
Per 200.000 anni, mal contati, i nostri progenitori hanno affrontato incertezze di tutti i tipi.
Ogni giorno. Ogni ora.
Poi la magia. Almeno per qualcuno. Pochi a dire il vero.
Ma per mezzo secolo, almeno un pezzo della popolazione mondiale, ha assaggiato il relax del non dover pensare al futuro, se non per pregustarsi nuove dolcezze.
Finita la pacchia, siamo tornati a doverci ri-orientare ogni volta che il panorama cambia.
E a differenza di prima cambia spesso. Spessissimo.
E a noi non piace ri-orientarci, almeno non così frequentemente. Abbiamo perso l’abitudine.
Suggerirei di rovistare nel baule delle convinzioni ed abitudini dei nostri progenitori.
Loro ne hanno viste delle belle e cumulativamente la loro esperienza potrebbe aiutare.
Il loro ambiente era precario. Terribilmente precario.
Nello specifico prendo in analisi la competizione tra i nostri nonni Sapiens (sopravvissuti ) e i nostri zii Neanderthal (estinti ). Qui si notano spunti interessanti.
I nostri progenitori sopravvissero perché:
1. Dedicavano più tempo pensare in prospettiva e astrattamente mentre i loro concorrenti si focalizzavano sui bisogni a breve.
2. Sviluppavano forme comunicative complesse, legami sociali intensi e produttivi, invece di mantenersi isolati.
3. Producevano strumenti per affrontare i problemi in modo strutturato.
La chiave di volta per affrontare e colonizzare un mondo antipatico ed ostile non è stata quella della reazione e del conservatorismo. Ma quella della visione di possibilità non esperite.
Di riflessione attenta prima di agire. Non di azione a tutti i costi.
Paradossalmente la flessibilità richiesta derivava più da una strategia: “Vivi piano e invecchia a lungo ” piuttosto che da una: “Vivi veloce e muori giovane”.
La precarietà si affronta con buone domande, prima che con affrettate risposte.
E la flessibilità è figlia della fame di informazioni e di contaminazioni.
Buon appetito.
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