Lo percepisci come un odore. O come un suono, diverso, stonato. Si annida nel tessuto sudicio di una moquette. Nell'odore acre di una camera da letto. Quel pensiero terribile nell'anticamera del cervello, che cerchi inutilmente di cacciare, ma non ci riesci.

Torna sempre. Non se ne va.

Come un villain di un film dell'orrore.

Piccoli passi incerti sulla ghiaia di un cortile. Poi qualche gradino ed una porta che si apre. Un odore sgradevole, di pulito e di chiuso allo stesso tempo. Altri passi, un tavolo di una cucina e una moquette di una camera da letto. Il cigolio delle molle. L’odore acre di sudore. La sensazione sgradevole della pelle e gli occhi febbricitanti che ti fissano e ti scrutano senza sosta da dietro il tessuto di un Balaclava.

Pochi secondi. Il silenzio della notte diventa l'unico testimone del grido strozzato che non ha trovato eco e di un vuoto che prima non c'era.

Un "delitto della stanza chiusa", in cui apparentemente non c'è soluzione ma che, come in ogni buon giallo, alla fine deve sempre esserci.

Lontano dalle luci sfavillanti di Los Angeles e dalle spiagge cristalline dell’oceano pacifico, i sogni infranti vengono mossi da torride tempeste di sabbia. Là, nella pancia del Mojave, i Joshua Tree osservano silenti le immobili distese di roccia e polvere. Sotto di esse, qualcosa si cela alla vista: un oscuro malessere a cui è impossibile dare un volto.

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La bellezza effimera delle estati passate a piedi nudi sulle spiagge roventi e il tepore gentile degli inverni passati al sicuro, stretti nei maglioni dell’università.

La clessidra della vita scorre lenta quando si è giovani, almeno finché non si presenta alla porta un mercante di morte. Desidera comprare tutta la sabbia che ti rimane.

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La settimana di Natale. Una sinfonia di suoni, sapori e colori, di volti che vedrai ancora per poco e di voci che sentirai gridare. Di passi che sentirai percorrere. Di porte che sentirai sbattere. Poi il silenzio improvviso ed il freddo pulsante del pavimento che attraversa la schiena, come una lama affilata. Poco più in là, una porta socchiusa. Una promessa infranta di un futuro che mai arriverà.

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La natura degli uomini, come un destino irriducibile, sembra talvolta sonnecchiare nella brina di lunghi inverni senza tempo. Là dove si piangono dolorose domande senza risposta; là dove qualcuno cova impulsi e incatena terribili verità; là dove volontà e giustizia, pazienti, attendono un'occasione.

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Come l’effetto della parola sulla punta della lingua, o come la sensazione di sfocata esattezza che alcuni sogni ci lasciano al risveglio. Su quel ponte, con Abby e Libby, continuiamo a tornare e ritornare, cercando di separare l’illusione dalla realtà. Siamo in cerca di una chiave, di un dettaglio trascurato, di un’improvvisa intuizione: “non troverai mai la verità, se non sei disposto ad accettare anche ciò che non ti aspettavi di trovare.” (Eraclito).

In fondo registrare un filmato non è altro che un atto di volontà contro il fluire del tempo. Un modo per costringere le lancette a scorrere di nuovo sotto i nostri occhi; un trucco per poterci concedere di tornare a quegli attimi di vita già perduti nel passato ma troppo importanti per poterli lasciare andare definitivamente. Abby e Libby non rivedranno mai quel maledetto loop di frame; a loro va l’atto di volontà contro il tempo, a noi il riviverlo ancora e ancora.

Blair cercava di ingannare un’ombra; una densa e imperscrutabile tenebra che da qualche giorno aveva iniziato a seguire le sue orme. I più non riuscivano ad avvertirla, se non nella montante angoscia di un passo sempre più lesto e disperato.