LazzaroVera–IIILiceo (V anno) –Convitto Nazionale“D. Cotugno”, L’AquilaQuella mattina, come sempre, stavo andando a scuola.Ma la solita strada, le solite case, i soliti negozi, era come se non ci fossero più.Uomini in chitoneo in clamide e donne in lunghi pepli mi camminavanoaccanto.Ora, siamo sinceri: nei miei anni di educazione classica, non mi è stato certo insegnato, tra una declinazione e l’altra, a dire “Ciao, come stai?”in greco antico, essendo la macchina del tempo un concetto ancora lontano dalla mia generazione, né tantomeno sono in grado di chiedere indicazioni stradali in latino: “Scusate, potreste per caso indicarmi la strada per il forum, fori, foro, forum, forum, foro?”Forse, in quella Roma, sarei in grado di ritrarre Catilina anche se con il rischio di ritrovarmiiugulatum, e saprei addirittura trovare la strada per la Gallia, con un De bello gallicosotto il braccio. Sotto un porticopotrei discorrere di retorica, magari spacciando permie le idee di Kant ediHegel –non essendo ancora nati di certo non potrebbero lamentarsi –a costo di beccarmi una bacchettata sulle mani. Avendo davanti una divinità,non farei come Marsia o Aracne –ci tengo alla mia vita e alla mia forma umana –e me ne starei buono buono ad offrirei miei sacrifici. Forse riuscirei anche a trovare la strada per l’Anfiteatro Flavio, solo per ricordare inextremisil suo passato di fronte all’attuale aspetto digabbia vintageper leoni.Tra tutte queste esitazioni una sola è la certezza: come un certo uomo balbettante e un po’zoppo nella Deificazione di uno Zuccone, alla domanda “Chi sei, e di che paese? Qual è la tua città e i tuoi parenti?”, che io sia di Roma o di Torino, pugliese o triestino, risponderei, battendomi il petto: “Da Ilio spingendomi,il vento presso i Cìconi mi condusse”.A tavola con Virgilio potrei chiedere del cloruro di sodio per insaporire le vivande –non è affatto vero che al Classico non si studiano le scienze, e la matematica, credetemi, si tiene di gran conto: dobbiamo o non dobbiamo calcolarci le medie divoto in voto?Il liceo classico è un ambiente particolare, non meno selvaggio di una foresta amazzonica: “Tityre, tu patulae”è un richiamo per noi colti pappagallini, un invito a completarlo con un “recubans sub tegmine fagi”tassativamente in metrica, etutti, dopo cinque, sei ore passate ad elaborare uncompito di italiano -saggio breve, prima, analisi del testo ora che il saggio è stato estirpato dall’esame come un’erbaccia, non certoquella di Glauco -, vorremmo una delle focaccine al miele tanto amate