L’episodio 2, “Il lusso: un concetto sfuggente e soggetto a incomprensioni” del podcast “Che cos’è e che cosa non è il lusso”, intende delineare il lusso quale fenomeno che travalica le categorie del possesso, della funzione e della necessità. Esso si inscrive in un orizzonte simbolico, estetico e culturale, dove la materia si trasfigura in linguaggio e l’oggetto diviene veicolo di un’esperienza emotiva e intellettuale. Il lusso non si esaurisce nell’atto del consumo, ma risiede nella capacità di evocare il sogno, di dialogare con l’arte, con la memoria e con l’idea stessa di bellezza assoluta.
La sua natura elusiva e inafferrabile deriva da una costellazione di fattori interdipendenti. Innanzitutto, dalla sua intangibilità: il lusso non è riducibile a parametri oggettivi di valore, funzionalità o prezzo, poiché vive di emozione, mito e immaginario. In secondo luogo, dalla sua radicale opposizione alla logica utilitaristica che domina la modernità: il lusso non si giustifica, esiste come affermazione estetica e come rifiuto dell’efficienza. A questo si aggiunge l’esclusività culturale, che ne fa un linguaggio riservato a chi possiede le chiavi interpretative del bello e del raro e il paradosso dell’accessibilità aspirazionale, che, attraverso i meccanismi della massificazione contemporanea, ha reso porosi i confini tra autentico e surrogato, tra arte e simulacro.
Inoltre, il lusso si distingue per una complessità temporale che ne amplifica la distanza dal quotidiano. Esso è intrinsecamente legato all’idea di atemporalità e di valore che si amplifica con il passare del tempo. In una società che privilegia l’immediatezza e l’obsolescenza programmata, tale prospettiva di lungo termine appare distante e difficile da assimilare.
Il vero lusso appartiene a chi sa comprenderlo, non a chi può acquistarlo. Soltanto l’individuo dotato di sensibilità estetica e profondità intellettuale può realmente coglierne l’essenza. Chi si limita a misurarlo con il metro del mero valore economico ne percepisce solo l’ombra, non la sostanza. Il lusso, infatti, non vive di visibilità ma di discrezione; non si espone, ma si lascia riconoscere.
Nell’esperienza quotidiana, il discrimine si rivela sottile ma inconfondibile: se, di fronte a un oggetto, a un prodotto o a un’esperienza, le prime percezioni si orientano spontaneamente verso la bellezza intrinseca, la maestria artigianale, il savoir-faire, l’heritage e l’eleganza, allora ci si trova dinnanzi al lusso. Al contrario, se la prima (e forse unica) impressione che giunge è quella di un valore economico elevato, allora non ci si trova di fronte al lusso, ma soltanto a qualcosa di alquanto costoso.
Da una prospettiva analitica, il concetto di lusso si biforca in due piani distinti: quello soggettivo e quello oggettivo. Il primo, personale e percettivo, riguarda la sfera dell’esperienza intima — quello che ciascuno definisce come “il proprio lusso”. Il secondo, invece, è quello operativo e settoriale, regolato da principi e criteri rigorosi. Eppure, la globalizzazione e le dinamiche culturali contemporanee hanno progressivamente sfumato i confini tra le suddette dimensioni, generando un relativismo percettivo che, pur ampliando il pubblico del lusso, ne ha eroso in parte la purezza concettuale.
Le sette vie interpretative elaborate nel corso dei secoli — democratica, elitaria, degli esperti, empirica, corporativa, creativa e della negazione — rappresentano altrettanti tentativi di circoscrivere un concetto che, per sua natura, si rifiuta di essere racchiuso. Ciascuna di esse ne coglie un frammento, ma nessuna ne abbraccia la totalità. Il lusso, come un prisma, rifrange la luce della cultura e del desiderio in infinite direzioni, rivelandosi sempre diverso, sempre nuovo, eppure riconoscibile nella sua coerenza profonda: l’elevazione della forma, la celebrazione della bellezza, l’esaltazione del sapere artigianale come espressione di una civiltà.
Dunque, il concetto di lusso si configura come un’entità multiforme che sfugge a una categorizzazione rigida e monolitica, ponendosi come un ideale stratificato, alimentato da prospettive divergenti che ne esaltano la natura elusiva e soggettiva. Anche nell’ambito operativo, manageriale e settoriale, il lusso, pur essendo formalmente disciplinato da rigidi principi di carattere universale e, in teoria, non incline a una natura proteiforme, può tuttavia manifestare una notevole variabilità interpretativa. Tale fluttuazione deriva sia dalle specificità metodologiche adottate dagli esperti di settore, sia dalle influenze culturali, economiche e normative intrinsecamente legate al contesto geografico in cui esso si declina.
Di conseguenza, il lusso si presenta come una realtà complessa e diversificata, in cui l'armonizzazione tra concetti universali e particolarismi locali costituisce un delicato equilibrio.
Le sette prospettive delineate offrono un ventaglio di chiavi interpretative, ciascuna delle quali contribuisce a una comprensione parziale e settoriale, eppure indispensabile, di un fenomeno che si innalza al di sopra delle semplici categorizzazioni semantiche, la cui definizione, nonostante gli studi condotti e le teorie avanzate nel corso dei secoli, permane inafferrabile, quasi a testimoniare la sua natura intrinsecamente refrattaria a ogni tentativo di delimitazione concettuale definitiva.
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