Dopo essersi più volte messo in cima alla classifica dei poeti del suo tempo, Dante mette prudentemente le mani avanti: è impossibile descrivere il regno dei cieli. Già fatto all’inizio della Commedia fa qualcosa di simile, quando dice che è “cosa dura” descrivere la selva in cui si era smarrito; ma qui l’impresa è ben più alta! Chi può tornare in terra dopo essere stato in Paradiso non sa e non può raccontare le cose che ha visto, perché il nostro umano intelletto non può arrivare a tanto.
Ma è falsa modestia: Dante ci racconterà eccome quello che dice di aver visto nella sua ascesa verso Dio, e lo farà coi versi più puri della sua poesia. Ancora una volta quindi, Alighieri ci sta dicendo semplicemente una cosa: io sono il migliore.
Il Paradiso è quindi, se vogliamo, il suo vero testamento poetico, quello in cui ha usato lo stile più alto possibile e a cui ha lavorato fino all’anno della sua morte, come ci racconta oggi Piermario Vescovo, professore di storia del teatro a Ca’ Foscari e direttore artistico del teatro stabile di Verona.