A Giugno, con cadenza annuale, si tiene a Le Mans la corsa di auto più bella del mondo, vi racconto come la vivo e spero di convincervi a venirci anche voi, in pellegrinaggio
Testo del podcast:
Le Mans, il rito
Tertre Rouge, Hunadieres, Mulsanne, Arnage, Maison Blanche. Sono i nomi delle curve storiche del circuito che ripeti come una preghiera mentre macini decine di chilometri, trascinando lentamente i piedi per girartele tutte quelle curve, accompagnato da altri 250 mila penitenti e dall’ululato continuo dei motori.
Ho perso il conto di quanti pellegrinaggi ho fatto qui a Le Mans, per vedere la 24 ore, eppure il desiderio di tornarci è sempre abbastanza forte da comprare il biglietto per tempo, chiedere le ferie, raccattare i soldi necessari, magari cercare compagni di avventura da iniziare al culto, e soprattutto scegliere i miei paladini. In genere scelgo con cura sul programma della corsa, tra la sessantina di iscritti macchine e piloti che partono sfavoriti, infantilmente li valuto dalle facce, persone che immagino lotteranno contro avversari potenti, ricchi e cattivi, fino in fondo, e magari li batteranno, facce che sembrano non conoscere il sorriso.
Nella mia infanzia l’automobilismo, con la sua cupa galleria romantica di eroi che sono morti in maniera sgraziata, mi ha sempre affascinato. Tanto da volerci provare, a fare il cavaliere senza macchia con la tuta e il casco, ho cominciato a correre tardi e con pochi mezzi, fino a quando, tra una prova speciale e l’altra di un rallye mi sono chiesto “cosa ci faccio qui”, che ha decretato la fine della carriera, troppa fatica e poche soddisfazioni.
E perchè invece mi piace Le Mans: I francesi sono sempre stati i più bravi a creare eventi mitologici legati allo sport, loro hanno inventato il tour de France, la parigi-dakar, ma soprattutto la 24 ore di Le Mans, sono tutte e tre competizioni che sono state capaci di trainarsi dietro una scia infinita di racconti e leggende.
Il tour dee France lo seguo sonnecchiante sul divano, i dolci panorami francesi conciliano i miei pisolini pomeridiani di Luglio, mentre la dakar per me, che sono stato un incallito rallysta, ha rappresentato un obbiettivo di carriera irraggiungibile, e questo pensiero mi irrita.
E invece Le Mans, che è ancora più irraggiungibile come pilota, ha mantenuto il suo fascino intatto, dall’epoca d’oro negli anni 60 delle vetture sport, macchine dalle forme morbide e sinuose a coprire delle grandi ruote che disegnavo da bambino, alle forme spigolose e appuntite di oggi.
Ma Le mans vista in televisione non ha senso, va bevuta tutta d’un fiato, e sul posto. Mi piace vedere l’ordine e la pulizia dei box, le camicie stirate e le facce intense degli addetti, e come in una gara così incerta cerchino di mantenere lucidità e voglia di incoraggiarsi a vicenda.
Noi del pubblico, passata la pattuglia acrobatica e la banda con la marsigliese, partita la gara, cominciamo la nostra 24 ore di marce forzate alimentate a salsicce patatine e birra, da una curva all’altra, Tertre Rouge, Hunadieres, Mulsanne, Arnage, Maison Blanche appunto, seguendo con trepidazione e stanchezza crescente le vicende dei rispettivi paladini.
Per gli appassionati di motori, ossia con poche eccezioni, tutti i maschi presenti, la mecca comincia nei parcheggi, dove gli spettatori del nord europa esibiscono i loro specialissimi e rari ferri, ci si ferma a parlare in un esperanto motoristico con gente orgogliosa e allegra di birra.
Si fa presto sera, e la stanchezza fa schiacciare brevi pisolini appoggiati a un muretto, è uno scorrere continuo di macchine e sorpassi, vuoi vederli spuntare in controsole mentre passano sotto il ponte dunlop e seguirli mentre schizzano verso il rettilineo di hunadieres, unica zona vietata al pubblico.
Qui si va a dormire sfiniti con il rombo nelle orecchie, e ci si sveglia presto per vedere l’alba della gara, i...