Studenti, giornalisti, attivisti: categorie tra le più a rischio nell’Afghanistan talebano. Ma anche un gruppo di cicliste, doppiamente perseguitate perché donne e perché sportive.
Poco meno di un anno fa un’operazione di salvataggio promossa dall’Unione Ciclistica Internazionale con la regia di Sylvan Adams – il filantropo a capo della Israel Premier Tech, la prima squadra professionistica israeliana recente protagonista al Tour de France – aveva permesso il salvataggio di alcune centinaia di cittadini afghani in pericolo di vita. Non tutti però hanno potuto raggiungere l’Europa nei tempi previsti, restando bloccati ad Islamabad per un totale di nove mesi. Un blocco “burocratico” finalmente superato.
Dopo una lunga attesa una settantina di profughi (tra loro molte donne) sono sbarcati quest’oggi all’aeroporto romano di Fiumicino, da dove hanno poi preso la strada dell’Abruzzo che li accoglierà in alcune strutture. Ad abbracciarli c’era tra gli altri lo stesso Adams: “Sono ebreo, ma sono guidato dall’antico imperativo culturale del ‘Tikkun Olam’: il concetto ebraico di riparazione del mondo. Un concetto che ci ha guidati in Rwanda, dove abbiamo ‘adottato’ un team femminile e dove abbiamo in programma di costruire un centro dedicato alla bicicletta. La speranza è che anche gli atleti afghani possano avere una possibilità di emergere”.
L’iniziativa ha potuto svolgersi nell’ambito dei “corridoi umanitari” attivati da Comunità di Sant’Egidio, Federazione delle Chiese Evangeliche in Italia, Tavola Valdese, Arci, Caritas italiana, Iom, Inmp e Unhcr.