“Non ce n’è,/ non ce n’è,/ non ce n’è...“. Ecco, sì, ci mancava solo l’inno negazionista; in stile rap con ibridazioni latinoamericane, brano di straniante euforia entro cui si condensano quasi tutti i fattori che fanno dell’Italia un paese unico al mondo. “Alza, alza,/ tutto è piò bello,/ forza ragazzi,/ buongiorno da Mondello!“, capitale morale della libertà anti-restrizioni. Ritornello e balletto accompagnato da mani che volano sotto il mento a significare: chi se ne frega. C’è poco da irridere o indignarsi, presentare denunce o scandalizzarsi; piuttosto ricordare, sia pure a malincuore, in quale altra lingua esiste l’espressione “canta che ti passa“: anche il virus evidentemente, e il dolore, i morti, i disastri sanitari, tutto. Inutile pure la consapevolezza che dietro all’operazione Non c’è n’è - nel titolo ufficiale spicca un grossolano errore - si intravede l’occulta regia di Lele Mora, appena ritornato allo showbiz con una sua “Accademia“, nientemeno.