Quando la vidi ebbi la sensazione di aver finalmente trovato il lieto fine che cercavo da sempre. Capii che dovevo alzare l’asticella del mio ego, perché una così non si conquista con le insicurezze.
Il caso unì i nostri gruppi, lei non usciva mai, era sempre al lavoro: infermiera sotto pandemia, vi lascio immaginare. Single da poco più di tre giorni, provarci era una follia, ma quella notte non c’era nulla da razionalizzare. C’era solo da agire.
- Ti accompagno alla macchina. - Fulminai l’amica con lo sguardo, prima che potesse dire qualcosa di sbagliato – Tranquilla, non me la mangio.
Un colpo da bomber, diretto, senza pensarci, nel momento giusto e vidi che si accese. Nel corso della serata qualche messaggio l’aveva rattristata e feci leva proprio su quel momento di fragilità.
Camminando mi sentii veramente dove volevo essere e anche se a sua detta odiava camminare, quei 500 metri volarono, cinque minuti in cui ci dicemmo tutto. Un colpo di clacson come ultimo saluto, io alzo la mano di spalle come fossi B-Rabbit nell’ultima scena di 8 Mile.
Cotte ne ho avute, anche troppe, ma quella sera avevo riprovato qualcosa che mancava all’appello da più di 10 anni: il colpo di fulmine.
Quando amo divento più spirituale, il problema delle generazioni di oggi è che non sono in grado di sentire e quindi non hanno gli strumenti per capire la fede che è una forma d’amore molto individuale. Così entrai in casa, mi inginocchiai nella mia camera e mi rivolsi verso Dio:
- Ti prego, dammi una possibilità con questa persona, fa che la tua volontà coincida con il suo amore verso di me. - E passai la mia nottata felice ascoltando musica e addormentandomi lentamente pensandola. Patetico magari, però ripeto, è stato come se tutto combaciasse perfettamente. Ci stavo credendo, credendo davvero, come non ci avevo creduto mai.
Il giorno dopo le inviai un messaggio, beccai il momento preciso in cui era in pausa e rispose subito.
Io le dicevo che stavo sbagliando a scriverle perché stava uscendo da una relazione ma che con lei valeva la pena rischiare. Lei dal suo canto mi disse che aveva avuto piacere della mia conoscenza, ma che non era il momento.
Due settimane più tardi, sto guardando Juventus – Roma, si intravedono i primi segni della prima stagione fallimentare dopo dieci anni di dominio in serie A. Nei giorni seguenti sarei partito per la capitale a caccia di nuove opportunità, quando arriva un messaggio che cambia i miei piani.
- Hai la macchina? - Era lei.
- No, ma ho un posto dove stare. - Risposi con convinzione.
- Ok, ma non parliamo di nulla che sia personale.
- Cosa voleva dire? - Dico a me stesso.
Mi faccio la doccia e mi preparo, esco di casa per raggiungere l’abitazione di mio padre, quella domenica sera casualmente vuota. Nel tragitto metto November Rain dei Gun’s Roses.
So a cosa sto andando incontro: sarò l'oggetto dei desideri di una notte, nulla più che uno dei tanti torti di una relazione non mia. Devo tirarmi indietro…. Ma non posso farlo.
La raggiungo in un parco nei pressi della casa, non un parco qualunque, lo stesso del primo appuntamento col mio primo amore. Che cazzo ne sa la gente dei richiami, dei riti e del romanticismo con sé stessi, della follia metodica e razionale di un povero disperato che vuole solo vivere un sogno che non esiste.
Andiamo a casa avvolti dal silenzio, dunque è vero, vuole solo scoparmi. Per metterla a suo agio le verso del limoncello e all’improvviso diventa un fiume in piena di parole ed emozioni.
Mi racconta tutto di lei, mi chiede di cantarle una mia canzone. Io le canto “Ricordo in Estate” che avevo appena presentato al Festival di Sanremo dopo che l’anno precedente passai le selezioni per poi venire squalificato, ma questa è un’altra storia.
Aveva un problema. Un problema di salute, nulla di apparente ma che da un momento all’altro poteva distruggerla. Mi accorsi di avere...