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Nei suoi ultimi vent’anni di vita, il grande artista Michelangelo Buonarroti (1475-1564) visse in una condizione di profondo sconforto, accentuato dalla scomparsa dell’amica amatissima Vittoria Colonna, spentasi nel 1547. L’artista era molto anziano, pensava di essere prossimo a morire (non poteva immaginare sarebbe invece vissuto ancora a lungo) e cominciò a lavorare alla propria tomba. Era stanco, e per questo non volle più accettare commissioni pubbliche di scultura, riservando quest’arte a sé stesso, alle sue più intime ricerche spirituali.
Recuperò il tema che, da giovane, l’aveva reso famoso, la Pietà, ossia il compianto di Maria sul corpo di Cristo, e affrontò, questa volta attraverso la poetica del non-finito, la propria inquietudine esistenziale, l’ansia del confronto con la morte che percepiva come imminente. Abbandonò in tal modo ogni aspirazione di bellezza formale, subordinandola fortemente all’espressione dell’anelito religioso.
La nuova Pietà di Michelangelo è detta Pietà Bandini o Pietà del Duomo. Fu realizzata dall’artista fra il 1550 e il 1555 per la propria tomba, che lo scultore immaginava in Santa Maria Maggiore a Roma. Buonarroti scelse di lavorare uno dei blocchi rimasti intonsi dalla Tomba di Giulio II: un blocco molto duro, come ricorda il Vasari, e pieno di impurità, che ad ogni colpo di scalpello generava scintille.
Michelangelo concepì un gruppo piramidale, con Nicodemo al vertice, la Madonna e la Maddalena ai lati e al centro il Cristo morto, che scivola verso il basso deformandosi in una posizione spezzata e innaturale.
I volti di Gesù e di Maria, non finiti e lasciati allo stato di abbozzo, sembrano fondersi fra loro e sono di una struggente intensità. Le espressioni patetiche della madre e del figlio sono ottenute attraverso pochi, sintetici segni: il taglio degli occhi, l’arco delle sopracciglia, l’angolo della bocca. Nicodemo assomiglia in modo straordinario al suo autore e non è affatto da escludere che in quel volto Michelangelo abbia voluto lasciarci un autoritratto.
All’artista, perennemente insoddisfatto, l’opera non piacque. Inizialmente, provò a cambiare la posizione delle gambe di Cristo; poi, una venatura del marmo provocò una fessurazione. Alla fine, lo scultore, scoraggiato e travolto da un moto d’ira, tentò di distruggerla, frantumando il braccio, il petto, la spalla e la gamba sinistra di Gesù, che non fu mai più recuperata. La scultura si è salvata solo grazie all’intervento del fedelissimo Francesco Amadori, ossia l’Urbino, da 25 anni domestico e collaboratore di Michelangelo.
Un allievo, Tiberio Calcagni, si premurò di restaurarla e di completarla, per quanto poteva, mettendo mano soprattutto alla Maddalena. La statua, sebbene compromessa, fu ugualmente venduta allo scultore e architetto fiorentino Francesco Bandini, da cui l’opera avrebbe ereditato il nome, che la collocò in una sua residenza laziale a Montecavallo. Cosimo III dei medici la acquistò verso la fine del XVII secolo e la portò a Firenze, dove ancora oggi si trova. Per anni si poté ammirare dentro al Duomo di Santa Maria del Fiore; dal 1981 è conservata al Museo dell’Opera del Duomo.
Esiste una Pietà, nota come Pietà di Palestrina, che da molti anni la critica attribuisce a Michelangelo. La statua è oggi conservata alla Galleria dell’Accademia di Firenze (assieme al David e ai Prigioni). Cristo è sorretto dalla Madonna, posta di lato, e da un personaggio maschile in alto, forse Nicodemo.
L’opera è lasciata allo stato di abbozzo; sono soprattutto le figure che sostengono Gesù ad essere non-finite. Fu ricavata da un blocco antico, forse un pezzo di trabeazione: una piccola parte della vecchia decorazione è ancora visibile nella parte posteriore.
A metà del Settecento uno storico, che la vide nella Cappella Barberini nella Chiesa di Santa Rosalia a Palestrina, la citò come opera del Buonarroti. L’attribuzione al grande maestro venne poi confermata da vari studiosi di tutta autorevolezza, tra cui Wölfflin, Venturi, Cecchi, Carli e Toesca.
Tuttavia, questa Pietà non viene ricordata né dalle fonti né dai documenti. E, trattandosi di una presunta opera di Michelangelo, la circostanza è francamente sospetta. Così come è del tutto inconsueto che l’artista avesse deciso di lavorare un vecchio pezzo di marmo senza invece scegliersi il materiale direttamente nelle cave di Carrara, come aveva fatto per decenni.
Inoltre, molti storici dell’arte (tra cui Berenson e de Tolnay) faticano a riconoscere la mano di Michelangelo in questa figura di Cristo così pesante, massiccia e sproporzionata, soprattutto pensando a una data di realizzazione tarda, in cui il maestro tende piuttosto a sublimare le sue figure, attraverso la rappresentazione di una fisicità ascetica. È quindi più prudente rimandare questa Pietà a un imitatore o un allievo del grande artista.
L'articolo Michelangelo, la Pietà Bandini e la Pietà di Palestrina proviene da Arte Svelata.
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Nei suoi ultimi vent’anni di vita, il grande artista Michelangelo Buonarroti (1475-1564) visse in una condizione di profondo sconforto, accentuato dalla scomparsa dell’amica amatissima Vittoria Colonna, spentasi nel 1547. L’artista era molto anziano, pensava di essere prossimo a morire (non poteva immaginare sarebbe invece vissuto ancora a lungo) e cominciò a lavorare alla propria tomba. Era stanco, e per questo non volle più accettare commissioni pubbliche di scultura, riservando quest’arte a sé stesso, alle sue più intime ricerche spirituali.
Recuperò il tema che, da giovane, l’aveva reso famoso, la Pietà, ossia il compianto di Maria sul corpo di Cristo, e affrontò, questa volta attraverso la poetica del non-finito, la propria inquietudine esistenziale, l’ansia del confronto con la morte che percepiva come imminente. Abbandonò in tal modo ogni aspirazione di bellezza formale, subordinandola fortemente all’espressione dell’anelito religioso.
La nuova Pietà di Michelangelo è detta Pietà Bandini o Pietà del Duomo. Fu realizzata dall’artista fra il 1550 e il 1555 per la propria tomba, che lo scultore immaginava in Santa Maria Maggiore a Roma. Buonarroti scelse di lavorare uno dei blocchi rimasti intonsi dalla Tomba di Giulio II: un blocco molto duro, come ricorda il Vasari, e pieno di impurità, che ad ogni colpo di scalpello generava scintille.
Michelangelo concepì un gruppo piramidale, con Nicodemo al vertice, la Madonna e la Maddalena ai lati e al centro il Cristo morto, che scivola verso il basso deformandosi in una posizione spezzata e innaturale.
I volti di Gesù e di Maria, non finiti e lasciati allo stato di abbozzo, sembrano fondersi fra loro e sono di una struggente intensità. Le espressioni patetiche della madre e del figlio sono ottenute attraverso pochi, sintetici segni: il taglio degli occhi, l’arco delle sopracciglia, l’angolo della bocca. Nicodemo assomiglia in modo straordinario al suo autore e non è affatto da escludere che in quel volto Michelangelo abbia voluto lasciarci un autoritratto.
All’artista, perennemente insoddisfatto, l’opera non piacque. Inizialmente, provò a cambiare la posizione delle gambe di Cristo; poi, una venatura del marmo provocò una fessurazione. Alla fine, lo scultore, scoraggiato e travolto da un moto d’ira, tentò di distruggerla, frantumando il braccio, il petto, la spalla e la gamba sinistra di Gesù, che non fu mai più recuperata. La scultura si è salvata solo grazie all’intervento del fedelissimo Francesco Amadori, ossia l’Urbino, da 25 anni domestico e collaboratore di Michelangelo.
Un allievo, Tiberio Calcagni, si premurò di restaurarla e di completarla, per quanto poteva, mettendo mano soprattutto alla Maddalena. La statua, sebbene compromessa, fu ugualmente venduta allo scultore e architetto fiorentino Francesco Bandini, da cui l’opera avrebbe ereditato il nome, che la collocò in una sua residenza laziale a Montecavallo. Cosimo III dei medici la acquistò verso la fine del XVII secolo e la portò a Firenze, dove ancora oggi si trova. Per anni si poté ammirare dentro al Duomo di Santa Maria del Fiore; dal 1981 è conservata al Museo dell’Opera del Duomo.
Esiste una Pietà, nota come Pietà di Palestrina, che da molti anni la critica attribuisce a Michelangelo. La statua è oggi conservata alla Galleria dell’Accademia di Firenze (assieme al David e ai Prigioni). Cristo è sorretto dalla Madonna, posta di lato, e da un personaggio maschile in alto, forse Nicodemo.
L’opera è lasciata allo stato di abbozzo; sono soprattutto le figure che sostengono Gesù ad essere non-finite. Fu ricavata da un blocco antico, forse un pezzo di trabeazione: una piccola parte della vecchia decorazione è ancora visibile nella parte posteriore.
A metà del Settecento uno storico, che la vide nella Cappella Barberini nella Chiesa di Santa Rosalia a Palestrina, la citò come opera del Buonarroti. L’attribuzione al grande maestro venne poi confermata da vari studiosi di tutta autorevolezza, tra cui Wölfflin, Venturi, Cecchi, Carli e Toesca.
Tuttavia, questa Pietà non viene ricordata né dalle fonti né dai documenti. E, trattandosi di una presunta opera di Michelangelo, la circostanza è francamente sospetta. Così come è del tutto inconsueto che l’artista avesse deciso di lavorare un vecchio pezzo di marmo senza invece scegliersi il materiale direttamente nelle cave di Carrara, come aveva fatto per decenni.
Inoltre, molti storici dell’arte (tra cui Berenson e de Tolnay) faticano a riconoscere la mano di Michelangelo in questa figura di Cristo così pesante, massiccia e sproporzionata, soprattutto pensando a una data di realizzazione tarda, in cui il maestro tende piuttosto a sublimare le sue figure, attraverso la rappresentazione di una fisicità ascetica. È quindi più prudente rimandare questa Pietà a un imitatore o un allievo del grande artista.
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