La maestrina Boccarmè, appena sola, strappò quel ritrattino dalla parete e lo scagliò con tanta rabbia sulla scrivania, che il vetro della modesta cornicetta di rame si ruppe. Poi, andò a buttarsi sul letto e, affondando il volto sul guanciale, si mise a piangere.
Non tanto per l'onta, no; pianse per la miseria del suo cuore scoperta, derisa e quasi sfregiata; pianse per vergogna di quel che aveva fatto, di quel ritrattino che aveva appeso lí alla parete da tanti anni.
Ma non aveva avuto mai, mai un momento di bene fin dalla fanciullezza; aveva già perduto, non pur la speranza, ma perfino il desiderio d'averne nel tempo che ancora le avanzava; e allora, quasi mendicando un ricordo di vita, era ritornata ai giorni del suo maggior tormento, ai soli giorni in cui pure, per poco, aveva sentito veramente di vivere: e aveva cercato quel ritrattino, gli aveva comperato quella cornicetta da pochi soldi, e non perché lo vedessero gli altri lo aveva appeso lí alla parete, ma per sé, per sé unicamente, quasi per far vedere a se stessa che, mentre forse tant'altre maestrine come lei dicevano senz'esser vero, d'avere avuto anch'esse in gioventú il loro romanzetto sentimentale, lei - eccolo là - lo aveva avuto davvero: c'era stato davvero - eccolo là - un uomo nella sua vita. [...]