[…] La notte era placidissima; la frescura della brezza marina, deliziosa.
Il mare, sterminato, non si vedeva, ma si sentiva vivo e palpitante nella nera, infinita, tranquilla voragine della notte. Solo, da un lato, in fondo, s'intravedeva tra le brume sedenti su l'orizzonte alcunché di sanguigno e di torbo, tremolante su le acque. Era forse l'ultimo quarto della luna, che declinava, avviluppata nella caligine. Su la spiaggia le ondate si allungavano e si spandevano senza spuma, come lingue silenziose, lasciando qua e là su la rena liscia, lucida, tutta imbevuta d'acqua, qualche conchiglia, che subito, al ritrarsi dell'ondata, s'affondava. In alto, tutto quel silenzio fascinoso era trafitto da uno sfavillío acuto, incessante di innumerevoli stelle, cosí vive, che pareva volessero dire qualcosa alla terra, nel mistero profondo della notte. I due seguitarono ad andar muti un lungo tratto su la rena umida, cedevole. L'orma dei loro passi durava un attimo: l'una vaniva, appena l'altra s'imprimeva. Si udiva solo il fruscío dei loro abiti. Una lancia biancheggiante nell'ombra, tirata a secco e capovolta su la sabbia, li attrasse. Vi si posero a sedere, lei da un lato, lui dall'altro, e rimasero ancora un pezzo in silenzio a mirar le ondate che si allargavano placide, vitree su la bigia rena molliccia. Poi la donna alzò i begli occhi neri al cielo, e scoprí a lui, al lume delle stelle, il pallore della fronte torturata, della gola serrata certo dall'angoscia. […]