Qualche tempo fa abbiamo scritto che ci siamo svegliati in un mondo impazzito, che se non altro era interconnesso. Magra consolazione, in effetti: non ci basta essere connessi per raggiungere un equilibrio vitale e, soprattutto, la nostra rete di relazioni e di conoscenza, sia virtuali che di persona, è finita sullo stesso piano ed influenza l’umore e l’andamento delle nostre giornate, mentre ci troviamo quasi del tutto impossibilitati dal poterla controllare appieno.
Del resto già nel 1999 David Cronenberg, con il suo film eXistenZ, immaginava un mondo iperconnesso a livello organico, in cui i personaggi usavano appositi “pad” per nutrirsi di appagamento virtuale all’interno di una realtà virtuale, quasi del tutto indistinguibile da quella reale, dai confini sfumati e le medesime potenziali conseguenze di addiction (intesa come dipendenza da stupefacente in grado, alla lunga, di danneggiare i tessuti organici) ispirate al romanzo capolavoro Neuromante di William Gibson.
Oggi, nel 2023, guardiamo ancora serie come Il mio amico in fondo al mare, in cui ci raccontano come sia possibile estendere la propria rete di contatti ad un animale acquatico. Siamo ossessionati dalla connessione al punto che potremmo dirci parte integrante, attiva e passiva, di una società intersoggettiva in cui siamo tutti (disperati in amore o meno) potenzialmente connessi a chiunque altro, seppur a volte in maniera indiretta o imprevedibile.