Nome, cognome, data di nascita, foto profilo ad alta definizione, indirizzo di residenza, indirizzo e-mail e numero di carta d’identità.
Sono i dati di 5,1 milioni di individui salvadoregni che sono stati pubblicati pochi giorni fa. Considerando che il numero di abitanti totale è 6,3 milioni, quali l’intera popolazione di El Salvador ha visto i propri dati sensibili finire online.
Come riportato da Atlas21, il database che comprende le informazioni di 5.129.518 persone pesa 144 GB ed era già disponibile per il download dallo scorso agosto a un prezzo di $250. Il 6 aprile i dati sono stati rilasciati gratuitamente.
Qualcuno ha fatto notare su Twitter che la lista di informazioni corrisponderebbe a quella richiesta per creare un account su Chivo, il wallet di stato rilasciato dal governo di El Salvador.
Il condizionale è d’obbligo perché l’origine dell’hack non è ancora stata accertata.
I sospetti, tuttavia, sono molto forti. Poche ore dopo la diffusione della notizia del data leak, in un gruppo Telegram di cybersecurity è stato pubblicato lo script per eseguire un attacco di brute force con la password “123456” sui server di Chivo: elemento non facile da ottenere, considerando soprattutto che Chivo è un wallet closed-source, il cui codice non è pubblico. Ma lo script funziona e il server risponde, quindi chi l’ha pubblicato ha ottenuto in qualche modo accesso ai sistemi di Chivo. Il timing è quantomeno curioso.
In attesa di eventuali conferme ufficiali, la notizia induce una riflessione. Davvero i sistemi di riconoscimento del cliente (KYC, Know Your Customer), sono efficaci come appaiono? Funzionano effettivamente per evitare i finanziamenti al terrorismo, come ripetuto assiduamente da ogni autorità? O rappresentano, piuttosto, una minaccia per tutti coloro che rispettano le regole?
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