La via è di quelle buie e poco frequentate, non proprio della Milano cangiante: c’è sempre qualcuno che ti ferma per offrirti del fumo.
Se la percorri tutta arrivi al naviglio dove l’atmosfera invece cambia di netto.
La attraverso sempre nello stesso senso e mi fermo ogni volta al cospetto di una serie di murales che parlano di rivoluzione e libertà, capeggiati dal grande ritratto pop di un giovane antifascista.
Il Nidaba theatre sta proprio lì di fronte.
Arrivo sempre presto. Tipicamente mentre Barbara apre la saracinesca ed esegue il gesto rituale di lanciare alle sue spalle, verso la strada, una moneta trovata a terra nel locale la sera prima. Lo fa da 25 anni, così mi ha detto. Ogni giorno che dio manda in terra. Non ho mai chiesto il perché, preferendo il mistero alla spiegazione.
Arrivo presto per godermi il rito, ma anche per sentire gli ultimi ritocchi di sound check della band che suonerà quella sera. Non controllo mai chi ci sarà, so che sono sempre band di grande qualità
Max sta già dentro appena varco la soglia, e lo vedo passare dal mixer dove ha appena sistemato il set audio, alle spillatrici di birra satolle di schiuma e risate e che elargirà nei bicchieri degli astanti.
Certe facce che non ne trovi più così in giro: nostalgici rock dai capelli grigi tatuati come tele indiane, ma anche giovani di facce pulite e zaini da lavoro ancora sulle spalle.
Lai arriva fra poco. L’ho invitata qui perché quando la musica partirà, le birre scorreranno, i sorrisi si fonderanno, capirà fin da subito le cose che ha bisogno di sapere di me.
Nidaba è così: puoi entrare solo se sei porti con te la voglia di incontrare. Si perché quando è pieno ed è sempre pieno, si sta stretti. Così stretti che abbracciarsi è l’unico modo per…vivere.