Partiamo che è buio. Gelo sulla strada e foschia obbligano l’autista ad andare a passo d’uomo. Dopo 40 chilometri entriamo nel parco nazionale del Glaciares, e dopo altri 40 chilometri all’interno arriviamo al battello che ci porterà al Perito Moreno.
La nebbia bassa da cui spuntano le cime dei monti. Dal porticciolo un'aria misteriosa. Raggiunta la base del gigante bianco, sotto un sole assoluto - il primo di cinque giorni - le due guide ci fanno un briefing preparatorio al trekking sul ghiacciaio. Indossati i ramponi, in fila indiana, cominciamo a salire.
Camminare sul ghiaccio non è difficile, ma, come diceva Battisti, “le discese ardite e le risalite” non sono facili neanche con i ramponi. Seguiamo il tracciato di Gabriel, la guida capocordata, mentre Carlos ci guarda il lato verso lo strapiombo. Lungo il cammino di questo gigante bianco e azzurro, c’è molto da vedere: dune, seracchi, pozze d’acqua cristallina, voragini azzurre che fotografiamo dal bordo, assistiti dai maestri.
Due ore di cammino e poi la sorpresa finale, un tavolo con cioccolatini e bicchieri per un whisky con ghiaccio che Carlos con la sua picozza scava fresco fresco. Insomma, una gran figata. Per me poi è l’ultima corsa: il trekking ha un limite di età.
Finito il trekking facciamo un giro stordente sulle passerelle che circondano il Perito, oggi in grande spolvero, con il sole che illumina tutte le sue gradazioni di colore. Chissà, forse per salutarci, ogni tanto da quelle crepe arriva un ruggito, come un rumore di tuono, o una schioppettata che frantuma nel lago montagne di ghiaccio.
Patagonia, bella, solitaria, e così lontana.