Sapete quando si dice che alcuni posti posseggono un’anima? La Vucciria ne ha due. Siamo nel centro storico di Palermo, tra i palazzi nobiliari di Corso Vittorio e Piazza san Domenico, nel bel mezzo di Via Roma, dove tutto scorre. Tra la frenesia della città e i suoi rumori, spunta un’insenatura tra le vie, quasi impercettibile, come se si aprisse un varco, ecco che vedi su un’insegna appesa, chissà dove, in aria la scritta
“Vucciria”, che anche se non la conosci hai comunque la sensazione di stare per entrare in un luogo a parte. Scendi quelle scale e stai per staccarti dalla realtà come la intendono tutti. E infatti è così, è la realtà
di una città che non ha alcuna voglia o alcun motivo di rinunciare al suo essere genuina, spontanea, vera, chiassosa, colorata, profumata, dai fiori alla frittura. Non importa che ora sia, c’è sempre qualcosa che non t’immagini di vedere.
Di giorno è un mercato. Sì, Palermo è piena di mercati, ma nessuno è come la Vucciria. Anche la parola stessa: le vuci, le voci; il vociferare della gente che è lì, con il proprio bancone di pesce, verdura, carne o frutta, e vannìa o abbanìa. Il verbo vanniare vuol dire proprio questo, avete presente il classico “Beddu pùippu, vivu vivu è. Stigghiuola, cavuri cavuri.” Ecco, per intenderci. Immaginate tutte quelle donne che passano di banco di banco e non vanno dal macellaio, ma da Mimmo, non scelgono il pesce in pescheria, c’è Gaetano che glielo mette da parte perché domenica scorsa "finìu e ci rimasi mali a signura". C’è "u
carrattinu ru pani, u coppu ri mistu frittu e birra atturrunata", che per chi non lo sapesse non vuol dire solo ghiacciata, ma di più.
E tu sei lì, accanto alla fontana del Garraffo, e ti guardi attorno e sembra di vedere uno dei quadri di Guttuso, che chissà quante ore avrà passato lì per riuscire a raffigurare ogni minimo particolare di quelle saracinesche, con i salumi e le trecce d’aglio appese.
Basta che il sole scompaia perché la Vucciria si trasformi. La sera è impossibile riuscire a descrivere le centinaia di ragazzi che la popolano. Sì, popolano, perché di notte la Vucciria diventa una vera e propria
città a parte, è un’isola dove approda chiunque. Quelle stesse vie che la mattina erano sovrastate dai banchi dei venditori, magicamente lasciano spazio alla movida palermitana.
Non appena le porte della Taverna Azzurra si apriranno, lì diventeremo tutti amici, e non è tanto per dire. E' proprio così.
La notte in Vucciria non importa da dove vieni, che tu sia di un paese, palermitano doc o stia facendo l’Erasmus in Sicilia, perché ci vediamo tutti allo stesso modo, sì, forse un po' sfocati ma nuatri n’addivirtemu accussì."
Via i tacchi e sì alle scarpe basse, "picchì i balati ra vucciria un s’asciucanu mai e ‘nsammaddiu sciddichi. "
Tutti con un elastico al polso, sudati ma felici, perché anche se in inverno, ci sarà sempre caldo.
Saremo spalla a spalla, a cantare quella canzoni che ci ricordano qualche altra nottata, qui con una Forst in mano, chi può dire di non averne smezzata una con uno sconosciuto in taverna?
Chi non si è innamorato per una sera e poi l’ha perduto nella folla? Chi non ha mangiato un pezzo di sfincione alle quattro del mattino
"ca sulu u ciavuru ti grapi u pitittu?"
Chi non ha offerto un bicchiere di zibibbo a qualcuno solo perché aveva
la corona d’alloro in testa? Quella stessa che poi lascerà lì insieme alle altre, che faranno da cornice ai muri azzurri pieni di scritte. Come quella dove tutti si scattano una foto: “se hai la testa fra le nuvole goditi il
paesaggio.”
E me lo godo, e rimango interdetta da tutta questa bellezza. Forse all’inizio ho sbagliato a dire quante anime avesse questo posto, non ne ha mica due, ne conto almeno dieci, anche cento, mille. O forse è solo una. Una grande matassa che le racchiude tutte, quelle di passaggio, quelle che sono rimaste e quelle che torneranno.