“Settembre, andiamo. È tempo di migrare.” — così scriveva D’Annunzio.
Ma è con le note di Alberto Fortis che settembre, per molti di noi, diventa qualcosa di più di un mese: diventa una sensazione.
Settembre è il ponte sospeso tra quello che siamo stati d’estate e quello che torneremo a essere d’inverno. È la terra di mezzo, quella in cui non sei più abbronzato, ma non sei nemmeno ancora coperto da sciarpe e cappotti.
C’è sempre una malinconia sottile, in settembre. Non è tristezza, non è nostalgia, è come se fosse un richiamo. Il richiamo della normalità, delle agende che si riempiono, dei treni presi di corsa, delle scuole che riaprono, dei lavori che ripartono a pieno ritmo.
Settembre è il mese dei nuovi inizi. Molti pensano che l’anno nuovo inizi a gennaio, ma la verità è che ricomincia a settembre. È lì che decidiamo se cambiare, se studiare, se lasciare, se ripartire. È lì che mettiamo via l’estate con la promessa che tornerà, ma intanto proviamo a reinventarci.
Eppure, in questa rinascita, resta sempre quella frase che Alberto Fortis cantava: “Settembre, è il mese del ripensamento…”
Sì, perché settembre è proprio questo: uno specchio che ci costringe a guardarci dentro. Ci fa ripensare a chi siamo, a cosa vogliamo, a chi ci manca, a chi non vogliamo più.
Forse settembre non è il mese più bello, ma è il mese più vero. Perché ci toglie le maschere leggere dell’estate e ci rimette addosso i vestiti pesanti della vita.
Ed è lì che capisci che la malinconia di settembre non va combattuta: va vissuta. Perché dentro quella malinconia c’è la spinta più forte che abbiamo per cambiare davvero.