Il quartiere di Brera, è stato uno degli snodi dei percorsi narrativi del '900, con la sua aura trasgressiva dove si mischiavano artisti, scrittori, poeti, ragazze di vita e fannulloni. L'incrocio dei destini avveniva al bar Jamaica, cuore della movida, che Emilio Tadini paragonava ad un Olimpo minore e Bianciardi descriveva come una cittadella appartata. Lì si incontravano Piero Manzoni, Lucio Fontana, Salvatore Quasimodo, Ugo Mulas, Mario Dondero e tanti altri. A pochi passi la Pinacoteca e la Biblioteca Braidense, meta erudita già dai tempi di Giuseppe Parini era il luogo dove Lalla Romano (che abitava al 17) portava il giovane nipote Emiliano (nel romanzo "L'ospite"), dove il giovane Luciano Bianchi (Bianciardi) andava a studiare dopo aver guardato Il "Cristo morto" del Mantegna.
"Era una strada tranquilla e tutta nostra; il traffico quasi non ci si azzardava, ma anche in via della
Braida, che pure è centrale e frequentata, le auto sembravano riconoscere che questa era zona nostra e rallentavano più del dovuto, e i piloti non s’arrabbiavano né facevano le corna se un pedone uscito dal caffè delle Antille traversava senza guardare, obbligandoli a una secca frenata. Per tacito consenso insomma quella era la nostra isola, la nostra cittadella".
Luciano Bianciardi, La vita agra
"Noi pensiamo sempre a Brera come luogo dell’arte e dei libri, ma questa, così schiettamente culturale, non fu la sua prima destinazione. Le origini di Brera vanno fatte risalire al medioevo e all’ordine laico degli Umiliati, detti anche Berrettani della Penitenza per il gran cappello che portavano. Andarono a collocarsi appunto in territorio chiamato “Braida del Guercio”, dove costruirono case, edificando anche la loro chiesa di Santa Maria".
Maurizio Cucchi, La traversata di Milano.
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