al Books and Museum del 6 aprile 2025 presso il complesso monumentale di Santa Maria la Nova di Napoli, il saggio di Valeria Pezza: L’invenzione della casa. L’ordine domestico della polis, Christian Marinotti edizioni, Milano 2025, pagine 120. «Chi abita una casa costruita dentro una città, è come un pellegrino che procede – come diceva il mistico russo dell’Ottocento Giovanni di Kronstadt – col bastone da viaggio e l’abito da viandante: quando giungerà alla fine della vita, gli si spalancherà la porta ed egli finalmente sarà a casa sua, “perché non abbiamo quaggiù una città stabile, ma cerchiamo quella futura” (Ebrei 13, 14)» Recenzione di Pasquale Giustiniani. La provocazione che viene dalla struttura della città greca
Tra i tanti ringraziamenti di questa notevole pubblicazione - realizzata da Valeria Pezza con il contributo del DiARC: Dipartimento di Architettura-Università di Napoli Federico II -, si leggono anche quelli che l’Autrice ha voluto destinare «a tutta la comunità di Pollica, terra in cui si scorge ancora qualcosa del mondo greco». Alle tracce archeologiche, infatti, ovvero alle loro pietre significanti e ai loro rimandi ai pensieri e alle opere dei loro ideatori, costruttori e abitanti, rimanda ognuna di queste ricche e dense pagine del saggio di Valeria Pezza.
Quello delle case delle città greche nelle cosiddette colonie e nei siti della Grecia classica, è un mondo analogo a quello di fronte al quale si possono porre, insieme, sia l’archeologia che la storia dell’architettura e della topografia; ma anche l’antropologia culturale e lo storia delle idee, come illustra e dimostra l’acuto ed erudito sforzo di decifrazione, condotto per noi da Valeria Pezza in queste pagine. Così, le antiche pietre di Akragas (Agrigento) possono diventare la cifra di un’ambivalenza tipica dell’articolato e multifattoriale processo che viene opportunamente denominato “invenzione della casa”. A una prima, ma superficiale, vista, «la dimensione domestica appare rimossa e svalutata, in quanto non fondata sul gesto eroico, sulla pubblica e visibile esaltazione del potere, del conflitto e della forza» (pagina 11). Invece, come si legge nella Premessa a questo volume (pagine da 7 a 18), la domanda di partenza va formulata in consonanza con quando ricorda il titolo del volume (peraltro arricchito da numerosi grafici e tavole): «Quando è stata inventata quella casa ripetibile e ripetuta che presiede alla costruzione stessa della città come luogo non tanto del potere religioso, politico, militare, ma della dimora dei suoi cittadini?» (pagina 7).
Ecco spiegato perché, integrando il punto di vista consolidato che correlava l’architettura della polis classica alla sfera cosiddetta politica, «urgeva interrogarsi su quelle forme, il loro senso e la loro natura, chiedersi a quale dimensione domestica, a quali riti del quotidiano dessero luogo, misura e spazio, e in quale visione del mondo. Poi, perché tanto silenzio? Quale significato aveva la casa in quell’origine e cosa significa per noi oggi la casa?» (pagina 9).
Di qui prende corpo, una diversa, e intrigante, prospettiva, perseguita egregiamente da Valeria Pezza, che aiuta a ri-significare il senso stesso dell’agire politico - teorizzato negli scritti politici dei filosofi greci classici - e a precisare nei suoi vari riverberi il rapporto tra privato (domestico), spesso relegato alla sfera della irrilevanza, e pubblico (politico, anche in senso militare e bellico, ma oggi altresì sociale e culturale): «In modo sorprendente insieme all’interrogativo su tempi e modi dell’invenzione della casa per tutti, emergeva quello, inquietante, su questa incomprensibile condanna all’insignificanza» del privato, se inteso soltanto come “relegato a ciò che è privo di senso”. Ecco perché ci si dovrà interrogare, continua l’Autrice: «è stato davvero così, sempre? Ed ora ha senso per noi privare di valore la quotidianità che scandisce la vita di ciascuno, o è proprio dentro la casa che vive e può maturare una politica non ridotta all’esercizio e all’autorappresentazione del potere?» (pagina 10). E inoltre: «Allora perché questo silenzio sulla casa? Perché quel mondo domestico che originariamente definiva l’οἰκεῖος (oikèios) luogo intimo, personale, familiare, spazio suo proprio di ciascuno, ha finito per qualificarsi nel linguaggio comune solo al negativo, come privato di valore e di senso, rimosso dalla consapevolezza e dal pensiero?» (pagina 13). Se, all’errore strutturale, corrisponde un precedente errore di pensiero, esso potrebbe essere sviscerato, come ci aiuta ora a fare l’Autrice, mediante una domanda ulteriore: «Se il personale è il primo livello della politica, perché lo si tace?» (pagina 14). Non una “tana” o “posto in cui rifugiarsi: nuovi sensi dell’invenzione della casa
Più che tana in cui rifugiarsi; più che ambito o luogo senza rilevanza politico-sociale, la casa, con i suoi diversi riverberi classici dei vocaboli che la designano, «ha un ruolo decisivo nell’elaborazione della polis e dell’idea stessa della politica» (pagina 15). E questo riguarda non soltanto lo ieri, ma anche l’oggi e perfino il futuro, che anzi tutto ha una carica prolettica che aiuta a decifrare le macerie dell’oggi: «Le macerie delle case bombardate in Ucraina e in Palestina, sono l’immagine che meglio giudica la guerra, mostrandone il carattere del tutto devastante e irrazionale. Le mura abbattute, le case squarciate, la vita intima profanata ed esposta allo sguardo di tutti richiama forse, nel segno della devastazione, quel desiderio nascosto che interroga gli interni vissuti di case d’altri, come nelle scene iniziali del Cielo sopra Berlino di Wim Wenders, o nei quadri di Hopper» (pagina 16). Questi profili, già ben delineati nella Premessa, sono poi articolati e spiegati nel dipanarsi concreto dei succosi quattro capitoli di questo volume. Nel primo capitolo (pagine da 19 a 42), che si rifà prevalentemente all’esame analisi delle strutture archeologico urbanistiche della fondazione greca di Akragas (580 avanti Cristo), si osserva che rimane difficile individuare subito una regola per la disposizione dei muri ciechi e la tipizzazione della casa, fino a quando la fotografia aerea non offre un altro punto osservazione alla visione contemplazione generale: davvero le cose si dipanano davanti agli occhi, della fronte e della mente, come in un teatro; per cui la città si mostra come uno «spettacolo e a un tempo cerimonia religiosa in cui accadono cose, si sviluppano processi» (pagina 22). In tal modo, si spiega perché se ne sia potuto concludere, da parte degli studiosi, che l’urbanistica greca a pianta ortogonale è nata fuori della Grecia. Difatti, è nelle cosiddette colonie, prima che in Grecia, che le pietre degli abitati risultano appartenute a diverse costruzioni di città; dunque, esse possono essere fatte “parlare” – è proprio questo che accade in queste pagine –: «si registra un rapporto stabile tra casa e città, segno che in questi esempi la polis non si identificava, come in Grecia, solo con i monumenti e i luoghi pubblici, ma includeva e costruiva anche la casa, la casa per tutti; dava luogo, forma e misura anche a quel mondo liquidato come privato. La logica unitaria del sistema architettonico e spaziale tiene insieme la singola parte e il tutto, la grandiosa valle dei templi e la silenziosa casa ripetibile, il pubblico e il privato» (pagina 33). Assume, così, nuovi riverberi la stessa forma quadrata di casa, «collegata poi all’insula urbana e alla trama stradale”, che comparirà «non solo in Sicilia, ma in vari luoghi dell’Italia meridionale, dell’Epiro, dell’attuale Turchia, della penisola Calcidica, in fondazioni del settima, sesto, quinto e quarto secolo avanti Cristo e perfino a Pompei»(pagina 36). Profili sacrali e simbolici nella costruzione della casa.
Uno dei primi riverberi di questo diverso, possibile, sguardo sulla casa, come si mostra nel capitolo 2. (pagine da 43 a 64), è quello che consente di cogliere i profili sacrali dell’assetto della città e le corrispondenti divinità: «Ad Estia, per prima, ciascuno individualmente e quotidianamente rivolgeva la propria cura e la propria devozione; i riti del focolare imponevano che il fuoco sacro fosse tenuto sempre acceso, puro e casto, protetto da eventi come il parto o la morte, da fatti di sangue e dal rapporto sessuale. Il Focolare era la divinità principale della casa, ma anche altri dèi abitavano angoli diversi dell’abitazione e su tutto l’edificio dominava Zeus Herkeios, custode delle linee di confine» (pagina 50). Davvero, non soltanto fuori delle aree templari dedicati, ma anche in cucina, dove dimorano comunemente le persone, vi sono gli dei: «Anche qui vi sono dèi, dirà Eraclito ad alcuni ospiti, fermi sulla soglia, che esitavano a entrare nella sua casa vedendolo scaldarsi presso il fuoco della cucina. L’empietà, la profanazione di quanto è considerato sacro, è uno dei delitti più gravi per la cultura greca antica, quello di cui Socrate fu accusato» (pagina 52). Del resto, «Il quadrato evoca stabilità, avendo angoli e lati uguali, ed è una forma costruita sulla corrispondenza ai quattro elementi» (pagina 55). Ecco, sull’episodio di Eraclito l’oscuro, la testimonianza tramandataci da Aristotele: «E come Eraclito, a quanto si racconta, parlò a quegli stranieri che desideravano rendergli visita, ma che una volta entrati, si arrestarono sorpresi vedendo che si scaldava presso la stufa di cucina (li invitò ad entrare senza esitare: anche qui - disse - vi sono dèi), così occorre affrontare senza disgusto l’indagine su ognuno degli animali, giacché in tutti v’è qualcosa di naturale e di bello». Come ha commentato Martin Heidegger in Lettera sull’Umanismo (1946) -,((⏱️=400)) i visitatori pensavano di trovare l’oscuro pensatore «sprofondato in una meditazione profonda»; invece egli, mentre si riscalda al fuoco perché infreddolito, pronuncia le famose tre parole sulla presenza degli dei in cucina: parole...