La storia di sport al femminile che voglio raccontare oggi mi riguarda in prima persona.
Pochi giorni dopo ciò che è accaduto a Greta Beccaglia, la giornalista che ha subito delle molestie dopo una partita di calcio, un collega mi si è avvicinato e mi ha detto "perché non rifacciamo la scena della giornalista palpeggiata?" e nel mentre ha allungato la mano per metterla proprio sul mio fondoschiena.
Ho sempre pensato che in un'occasione come questa avrei saputo rispondere e farmi valere, ma invece sono rimasta davvero scioccata e incapace di dire o fare qualcosa. Ho portato a termine il mio lavoro con un senso di rabbia, umiliazione e rassegnazione che sono durati per molti molti giorni. Il giorno dopo ho subito riportato l'accaduto al mio superiore e ho deciso di chiamare la persona in questione, che conosco da tanti anni, per dirgli che ero davvero molto arrabbiata. Di tutta risposta mi sono sentita dire "e con questo? C'è qualcosa di male?" e ha terminato con un bel "vai a quel paese" (usando altre parole).
Il mio superiore e tutti i miei colleghi hanno preso immediatamente la mia parte e dopo una chiamata hanno fatto sì che questa persona non si potesse più avvicinare a me.
La cosa che mi ha fatto più arrabbiare è stato constatare che l'episodio che ha visto coinvolta Greta non fosse servito a nulla se non a un nuovo pretesto per una "goliardata" maschile da ripetere perché tanto "non c'è nulla di male".
Io ho avuto la fortuna di avere al mio fianco uomini con dei grandi principi che non mi hanno lasciata sola in quel momento ma che al contrario hanno subito agito in maniera forte.
Ed è proprio di questi uomini di cui abbiamo bisogno affinché gli "altri" possano capire che non si tratta di una sciocchezza ma di una vera e propria violenza fisica e soprattutto morale verso una persona.