Accumulavo cassette di arance. Mi conoscevano i mercanti di Weimar, Dessau, Quedlinburg, Halle e Wittenberg, perfino l’anziana di Naumburg, che quando mi vedeva arrivare gridava Signor Gropius, Signor Walter Gropius, venga, ecco qui, per lei; io ringraziavo e me ne andavo, pensando alla materia vetro e all’esplosività grafica del marciapiede.
L’architettura mi era destinata, a partire dal mio bisnonno, che combatté a Waterloo insieme al grande architetto Schinkel; di lui, mi parlava anche lo zio Martin, che proprio di Schinkel fu allievo. Credo che lì cominciò la mia passione per le forme.
Punto linea superficie, ripeteva il mio amico Kandinsky, mentre articolava con entusiasmo le bellezze del Regno dei Giardini di Dessau-Wörlitz, nella biosfera del Medio Elba, con i suoi canali, la natura, il castello fondato sul classicismo tedesco e la geometria importata dai giardini inglesi.
L’avevo conosciuto poco dopo aver fondato il movimento del Bauhaus, a Weimar. Teoria di forma e colori. La guerra è sempre seguita da tempi di rinnovamento, e io, nel 1919, decisi di voler costruire la Casa del futuro, un’opera d’arte totale. Insieme ai colleghi sperimentavo radicalmente attorno ai concetti di arte, architettura e design, e proprio per l’arte decisi di chiamare a insegnare quell’astrattista russo di cui tanto ammiravo la vocazione nel creare relazioni tra forme, colori e spiritualità.
Il clima politico ci costrinse a chiudere la scuola in Turingia, ma trovammo subito nella Sassonia-Anhhalt un terreno fertile alle nostre idee. Proprio qui riuscii a costruire il mio edificio, l’edificio Bauhaus, una struttura dove funzionalità e un design essenziale ricoprivano l’aspetto primario.
Il vecchio avrebbe ceduto all’avanzata di un progresso di cui mi sentivo parte; veniva in mente Lutero, che proprio in Sassonia-Anhhalt, a Wittenberg, aveva affisso le sue 95 tesi, vi aveva celebrato le prime messe in tedesco, all’interno della Schlosskirche, vi tenne le prime lezioni sulla Lettera ai Romani. Un nuovo linguaggio stava nascendo, secoli dopo.
Accumulavo cassette di arance. Le accumulavo, le tagliavo, vi costruivo figure nuove, pensando ai loro luoghi d’origine: quelle di Quedlinburg mi ricordavano le 2000 case a graticcio, la collegiata di San Servazio e il suo Tesoro del Duomo; erano leggermente più piccole e aspre; il legno proveniente da Naumburg, invece, rievocava un sapore più docile, dolce come il viso di Uta, la donna più bella del Medioevo, la cui statua affascina ancora nel coro occidentale della cattedrale.
Dessau e il modernismo, nel frattempo, erano diventati sinonimi: 300 edifici Bauhaus costruiti, tra cui le case con pergolato, il complesso di Törten con i suoi orti autosufficienti, l’ex granaio di Fieger. 300 rappresentazioni di qualità architettonica dove vetro e cemento si alternano, dove un giorno si ricorderanno di chi ha abitato quelle geometrie, gente come il genio Klee, l’astratto Kandinsky, la famiglia Schlemmer e il pittore Muche. Io, personalmente, sono affezionato al ponte, quello che collega la scuola all’ala dei laboratori, quello che gli studenti più grandi indicavano alle matricole, esclamando che là si trovava l’ufficio del direttore Gropius.
Mi piaceva muovermi avanti e indietro, lassù, tra le particelle rilasciate, regalate, esplose dalle bucce degli agrumi, riflettendo sul nuovo linguaggio che ora vedevo materializzato all’infuori del vetro, mimesi di forma segue funzione, geometria pura, divina.