Verso la metà degli anni cinquanta sono di moda il cool jazz e il jazz californiano, che hanno reso più morbida, soffice, la bruciante novità che negli anni quaranta è stata portata nel jazz dal bebop: di quella esplosiva novità Charlie Parker, sax alto, è stato il massimo alfiere, il protagonista più dirompente. Molta acqua dunque è passata sotto i ponti, ma anche se da un punto di vista estetico Parker è ormai il testimone di un'epoca che è passata, sulla scena del jazz il sassofonista, figura circonfusa di mito, continua ad essere il più grande. Non ne ha per molto: minato dalla tossicodipendenza e dall'alcool, sarebbe morto nel marzo del '55, a soli trentaquattro anni. Intitolato semplicemente Charlie Parker, il suo album del '54 venne pubblicato dalla Clef del produttore Norman Granz, e fu uno dei più importanti di quella annata discografica del jazz. Con una significativa particolarità: le incisioni erano state realizzate nel '52-53 in quartetto sax, piano, contrabbasso e batteria, senza un altro fiato, come nei quintetti con alla tromba prima Dizzy Gillespie e poi Miles Davis. In effetti non ci sono molte registrazioni ufficiali di Parker in quartetto, e da questo punto di vista l'album rappresentava un corpus di incisioni di rilievo.