Richard Montañez pulisce i pavimenti. Non è laureato. Non sa leggere e nemmeno scrivere, eppure verso la fine degli anni 80, in una sala conferenze della California, tre fra i dirigenti più potenti di Frito-Lay si riuniscono per ascoltarlo.
Come mai? Cosa si sono detti? Per scoprirlo, è necessario fare un passo indietro…
Montañez è cresciuto negli anni 60 a Guasti, una minuscola cittadina situata nel mezzo di uno svincolo autostradale, non distante da Los Angeles, ma apparentemente lontana da qualsiasi cosa. Lì viveva con la sua famiglia – padre, madre, dieci tra fratelli e sorelle e il nonno. Dormivano tutti insieme in un blocco di cemento che chiamavano “casa”.
Ogni mattina, Montañez sfidava il sole torrido della valle di Cucamonga per raggiungere il bus che l’avrebbe portato a scuola. Era un immigrato di prima generazione. Non sapeva parlare inglese e faticava a comprendere i suoi insegnanti. Dichiarerà in un’intervista che se la madre gli chiedeva come fossero andate le lezioni, lui scoppiava subito a piangere. Racconterà anche che l’insegnante, un giorno, fece il giro della classe per sapere da ciascun bambino quale fosse il lavoro dei suoi sogni – dottore, astronauta, veterinario… – e quando toccò a Montañez, lui si bloccò. Non per timidezza, ma perché si era appena reso conto di non avere un sogno.
Ben presto smise di salire sullo scuolabus, preferendogli il camioncino del padre, e passò dal lavorare nei campi con 40 gradi a macellare pollame in fabbrica. Lavava automobili, estirpava erbacce. Faceva qualsiasi mestiere, pur di aiutare la sua famiglia.
Finché, nel 1976, venne a sapere che la fabbrica di Frito-Lay vicino a casa stava cercando un inserviente a 4 dollari l’ora – l’equivalente di 18 dollari nel 2019. Quel lavoro, agli occhi di Montañez, rappresentava la chance per una vita migliore: finalmente avrebbe avuto uno stipendio fisso e l’agognata assicurazione sanitaria.
Incapace di leggere o scrivere, a soli diciotto anni, ha “reclutato” sua moglie per compilare la domanda, dopodiché ha percorso una strada polverosa, raggiunto la fabbrica, incontrato il responsabile delle assunzioni e infine ottenuto il lavoro.
Quando ha comunicato la buona notizia alla sua famiglia, il nonno gli ha dato un consiglio che non avrebbe mai dimenticato: “Non si tratta di chi conosci”, disse, “ma di chi ti conosce. Assicurati che il pavimento splenda e fai sapere a tutti che è stato un Montañez a pulirlo così bene”.
Richard, in quel momento, decise che sarebbe diventato il miglior inserviente che Frito- Lay avesse mai avuto. Tra un turno e l’altro, si prefiggeva di farsi vedere in giro per l’azienda. Imparava il più possibile sui loro prodotti, trascorreva ore e ore in magazzino e guardava le macchine sfornare tonnellate di snack.
Purtroppo, però, a metà degli anni 80, Frito-Lay attraversò un momento particolarmente difficile. Per tenere alto il morale, l’amministratore delegato Roger Enrico registrò un messaggio video e lo diffuse ai 300.000 dipendenti dell’azienda, invitandoli a comportarsi “come se fossero il proprietario”.
Alcune settimane dopo, Montañez acquistò da un venditore ambulante una pannocchia cosparsa di peperoncino in polvere, sale, succo di lime e creme fraiche. Ed è mangiandola che ha avuto la sua epifania: cosa sarebbe accaduto, se avesse aggiunto il peperoncino ai Cheetos?
Lanciati sul mercato nel 1948, i Cheetos erano il prodotto di punta della Frito-Lay. Patatine di mais aromatizzate al formaggio, molto popolari fra gli americani ma non ancora esplose nella nicchia degli immigrati latini. Montañez pensò di adattare il gusto del prodotto al suo gusto personale, quindi ricordò le parole del CEO e si comportò come se fosse il proprietario.
A tarda notte si intrufolò nello stabilimento di produzione. Lì raccolse alcuni Cheetos prima che venissero spolverati con il formaggio, poi li portò a casa e co