Da tempo anche le riviste accademiche sono obbligate, per non chiudere, a trasferirsi sul web ma questo, anziché essere una mancanza, si rivela un valore aggiunto che ne amplifica il raggio d’azione. Sono questi i casi in cui benediciamo l’avvento della Rete, che ci consente di sfogliare un’intera pubblicazione dalla prima pagina all’ultima, a costo zero e di esplorarne l’archivio in cui è conservata l’intera collezione. ATeM è una rivista di studi culturali dedicata all’indagine interdisciplinare delle varie sfaccettature che si vengono a determinare nelle relazioni tra testo e musica. Questi includono sia generi popular (dalla chanson classica al rap, dalla rivista musicale alla musica da film) sia generi appartenenti alla tradizione della musica classica (madrigale, opera, operetta) sia generi misti come il musical o la zarzuela situati al crocevia tra cultura alta e popolare. L’arco temporale comprende tutti i periodi storici, con particolare attenzione ai secoli XX e XXI mentre il focus culturale e linguistico si concentra sui paesi e sui territori in cui si parlano le lingue romanze. La rivista è l’organo ufficiale dell’Archive of Text and Music Studies/Archivs für Textmusikforschung che ha sede presso l’Università di Innsbruck. ATeM esce una volta all’anno a dicembre, sotto la direzione di un trio poliglotta formato da Gerhild Fuchs, Ursula Mathis-Moser e Birgit Mertz-Baumgartner. Il sito è accessibile in tedesco, francese e inglese mentre gli articoli comprendono anche scritti in italiano e spagnolo, come si può leggere nell’ultimo numero in cui compaiono saggi sul destino di canzoni sottoposte a traduzione (Nina Simone canta Aznavour e Brel), su tre declinazioni dell’erotismo in Gainsbourg, sul colonialismo in Aida e nella canzone etiope, su Gaber e la follia, sulla ninna nanna, sul flamenco e su celebrità di livello europeo come Raffaella Carrà e Loretta Goggi.

È interamente dedicato a Mozart l’album di esordio di Enrico Onofri - la cui uscita risale allo scorso 31 gennaio - con l’etichetta francese harmonia mundi. Alla guida della Münchener Kammerorchester, ensemble di cui è direttore associato, Onofri celebra «le gioie e le delizie - ma anche alcune malinconie - della musica “notturna” di Mozart attraverso tre lavori paradigmatici di questo genere: le serenate Haffner e Posthorn, e l’ancor più celebre Eine kleine Nachtmusik», come rivela. Primo di un ciclo sinfonico che darà spazio ai grandi compositori del Classicismo viennese, Serenata si avvale della presenza di Isabelle Faust, violino solista nella Serenata No. 7 in re maggiore Haffner K 250. L’esecuzione è brillante e coesa ma soprattutto centra l’obiettivo: portare l’approccio “storicamente informato” in un contesto orchestrale moderno così da rendere ancor più efficacemente ricchezza emotiva e teatralità della scrittura. Prezioso il contributo di Isabelle Faust che tra cadenze d’epoca, variazioni e ornamentazioni, composte dallo stesso Onofri, ammalia per nitore di suono ed espressività d’arco. 

Il paso doble nel jazz non ha mai perso vigore. Anzi, in questi ultimi anni ne ha guadagnato in attualità: voce e piano; contrabbasso e piano; sassofono e arpa e molte altre. E l’etichetta tedesca Act Music ne ha battezzati diversi, tanto da creare serie, per l’appunto, denominata Duo Art, dalla quale oggi attingiamo due lavori particolarmente intensi. Nel primo, Cameo, fa bella mostra il duo della trentenne pianista di Plauen Johanna Summer e il giovanissimo (appena 23 anni) sassofonista Jakob Manz. Entrambi, nonostante l’anagrafica sembrerebbe smentirlo, hanno già maturato una considerevole esperienza, anche discografica.
D’altra pasta è fatto il duo di pianoforti, sempre di marca tedesca, della premiata coppia Michael Wollny & Joachim Kühn che, a gennaio dello scorso anno, licenziarono Duo. Generazioni pianistiche che si incontrano per dare vita a un dialogo fitto e fantasioso.

Fra i musicisti delle culture musicali non europee, o legati alle tradizioni folkloriche (in particolare balcaniche o dell’Est Europa), è abbastanza diffusa l’opinione che la musica classica del Vecchio Continente sia ritmicamente piuttosto povera o addirittura semplicistica. In proposito il pensiero corre subito agli autentici terremoti ritmici che nel Novecento sconvolsero la musica europea. Basti il nome di Stravinsky. Oltre, naturalmente, a quell’invasione delle musiche d’oltreoceano, il jazz, le danze latino americane, che l’inestirpabile razzismo veterocontinentale percepiva come espressione di una fisicità selvaggia o animalesca tout-court.
Resta il fatto che ancora oggi dall’Est come, soprattutto, dall’Ovest ci arrivano pagine musicali dove il ritmo ha un ruolo assolutamente primario, anche perché muove da presupposti totalmente altri rispetto alla tradizione eurocolta. Questa la premessa obbligata per introdurre Gabriela Ortíz, compositrice messicana il cui album Revolución Diamantina è risultato vincitore di ben tre Grammy Awards come “Best Contemporary Classical Composition”, “Best Orchestral Performance” e “Best Classical Compendium”, secondo i criteri cervellotici quanto basta di questa grande fiera campionaria dell’industria musicale d’Occidente.
A parte tutto, Gabriela Ortíz è sicuramente una compositrice molto interessante, e altrettanto radicata in quel richiamo ritmico quasi ancestrale che caratterizza in particolare lo stile dei compositori messicani e latino americani da un secolo a questa parte.

Un omaggio al cinema, al suo mondo, alla sua bellezza che negli anni 2003-2004 inaugurava la stagione del Teatro Stabile di Napoli. Il teatro nella sua declinazione più universale, più compiuta e straordinaria nelle risonanze sonore di Pasquale Scialò: una “educazione sentimentale” alla canzone, potenza inesauribile. Squilibri pubblica un gioiello che rivede quel tempo grazie alla partecipazione di Roberto Andò, Claudio Affinito, Enzo Moscato, il dipinto di copertina di Mimmo Paladino e un canto indimenticabile di Enzo Gragnaniello. Napoli: e si dice tutto!

Una delle riviste più longeve che ancora resiste sia in versione cartacea sia on line è il Buscadero fondata da Aldo Pedron e Paolo Carù nel 1980. Si rivolge a un pubblico legato alle sonorità rock e affezionato al supporto vinilico che ancora rappresenta tra i lettori di questo mensile il 30 per cento. Con quasi 500 numeri all’attivo e 45 anni di vita è una delle realtà più rappresentative del panorama editoriale musicale.

Durante tutto il mese di febbraio nell’Opera di Colonia viene replicato uno spettacolo definito Divertissementchen che registra ogni giorno il tutto esaurito. È un appuntamento che coinvolge un pubblico di tutte le età e di ogni fascia sociale, e comprende anche persone che non frequentano i teatri d’opera.
Ogni anno viene presentato un soggetto diverso e in occasione del bicentenario della nascita di Johann Strauss figlio, l’autore e direttore teatrale Lajos Wenzel ha scritto una commedia musicale dedicata alla rivisitazione della più celebre tra le operette straussiane: Die Fledermaus.
Lo spettacolo dura tre ore e coinvolge un centinaio di persone tra attori, cantanti e ballerini, accompagnati da un’orchestra e da una Big Band diretti da Bernhard Steiner, che eseguono un pot-pourri di musiche diverse, non solo di Strauss junior ma appartenenti ai più svariati generi dalla classica al pop, dal jazz alle canzoni carnevalesche della tradizione di Colonia, con gli arrangiamenti di Thomas Guthoff.
Gli attori, cantanti e ballerini che animano lo spettacolo appartengono alla compagnia teatrale Cäcilia Wolkenburg, guidata da Simon Wendring, che fa parte di una associazione corale maschile storica, la Kölner Männer-Gesang-Verein (KMGV) fondata a metà Ottocento e composta da amatori che non vivono di musica ma per la musica, perché hanno in comune la passione per l’arte corale. Il loro talento brilla nel mese della kermesse del Divertissementchen nel quale interpretano anche i personaggi femminili previsti dal copione di un rutilante musical parlato e cantato in kölsch, il dialetto coloniese. Lo spettacolo viene seguito dal pubblico festante che applaude, ride e spesso canta le strofe delle canzoni legate all’epoca del Carnevale che nella città tedesca è considerata “la quinta stagione dell’anno”.

 
Max Reger è noto soprattutto per le sue vaste composizioni per organo , densamente contrappuntistiche e audacemente cromatiche. Tuttavia, accanto a queste costruzioni magistrali, la sua creatività si è anche rivolta a pagine più introspettive, che rivelano un lato completamente diverso del suo carattere. L’influenza di Schumann è evidente, così come si possono cogliere echi di Brahms e Chopin. Incontriamo inoltre miniature rapsodiche, e la raccolta tardiva Träume am Kamin appare come un’autoconfessione che sintetizza la carriera e lo stile di Reger.
 

É una casa, ma non solo discografica. É la “casa” del jazz contemporaneo targato Londra, ma con un’ampia visione europea. Nasce nel 2003 per aiutare i musicisti, come dire, sottovalutati della scena britannica, per offrire loro maggiori possibilità di esibirsi e di far conoscere il loro lavoro.
La loro è una vera e propria filosofia di vita. Infatti, dopo pochi anni, sono diventati un’eccezione con la reputazione di attirare l’attenzione su musicisti emergenti di talento.
La loro missione è quella di abbattere i pregiudizi e le barriere che esistono per i musicisti jazz, con un’attenzione particolare alle donne, ai neri britannici e ai giovani talenti.
Hanno traghettato al successo internazionale musicisti del calibro di Nubya Garcia, Shabaka Hutchings, Rosie Turton, Seed Ensemble, Ashley Henry e molti altri.
Il loro festival Jazz Re: Freshed, partito nel 2016, è diventato un format che viene esportato in mezza Europa, da ultimo al Brussels Jazz Festival e, ancor prima, in Corea del Sud e Australia.

Quello delle guide all’ascolto è uno dei format più consolidati dell’editoria musicale. Classica, jazz, rock, canzone sono da decenni oggetto di consigli per gli acquisti che aiutano il lettore a farsi un’idea in un mare magnum di proposte. Da assai oltre mezzo secolo – chi ricorda i benemeriti cofanetti di Selezione dal Reader’s Digest (li potevi acquistare solo per posta) che negli anni dell’enciclopedismo di massa ogni famiglia esibiva nel salotto buono? - anche il mercato italofono vanta numerose e corpose pubblicazioni che hanno l’ambizione di svezzare i neofiti offrendo loro le basi per costruirsi una propria discoteca casalinga. Dischi volanti. 40 album alieni da Duke Ellington a Lady Gaga (Curci) di Daniele Cassandro, invece, va in direzione contraria all’accumulo di titoli indispensabili e opta per scelte oblique, sorprendenti, che scoprono la vitalità di ambiti spesso ignorati o frequentati senza la giusta attenzione. Gustare le sue proposte è come decidere per un ristorante gourmet anziché infilarsi in un certo commerciale e scoprirete meraviglie che non avreste mai immaginato.