La letteratura “femminile” non esiste. Esistono le donne che hanno fatto e fanno la letteratura.
È consolante che nel 2024 un (attempato) giornalista culturale scriva un post su una rivista letteraria di un certo prestigio per spiegare che “La differenza tra autori e autrici è in ciò, che i primi frequentano più generi, perlopiù il thriller, mentre le seconde si sono ancorate a uno solo: appunto il romance.” È consolante vedere per l’ennesima volta riproporre il vecchio stereotipo per cui le donne scrivono di sentimenti, e la loro è e rimane letteratura femminile e minore perché in sostanza scrivono romanzetti d’amore, mentre i maschi affrontano i generi seri e producono narrativa non di genere, maschia e per questo universale. È consolante che per dare sostanza alla sua tesi, il giornalista definisca romance tutta una serie di romanzi che romance non sono, anche se in essi ci sono storie d’amore. Ma l’amore è il grande tema di tre quarti della letteratura, e ad usare questo metodo l’Iliade stessa sarebbe stata definita un romance sé l’avesse composta una donna.
È consolante sapere che pure adesso che scaliamo le classifiche e ci siamo guadagnate un posto, per i critici vecchio stampo noi donne siamo al massimo delle Liale o delle Barbare Cartland con più fortuna, mentre i maschi sono scrittori seri.
Non fosse che, verrebbe da ricordare al tizio, la prima poesia giunta a noi l’ha composta una donna, Enheduanna sacerdotessa della dea Ishtar, (che per inciso è Afrodite, la protagonista del mio prossimo libro) per ringraziare la dea di averle fatto sconfiggere i suoi nemici. E non era un romance, era il primo inno sacro della storia, lode per altro a una dea della guerra e protettrice delle arti e degli imperi.