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È l’alba del 15 novembre 1994. Una donna si lancia da un’auto ferma al casello di Vicenza Ovest invocando aiuto. L’uomo da cui chiede di essere protetta è invece seduto, calmo e tranquillo, al posto del conducente: il suo nome è Gianfranco Stevanin. Arrestato per stupro e sequestro di persona, verrà condannato a tre anni. Fino a che, all’interno dei terreni di famiglia, emergono uno dopo l’altro i cadaveri di quattro donne, selvaggiamente uccise e meticolosamente occultate. Quattro omicidi, secondo l’accusa; quattro incidenti, secondo Stevanin, occorsi durante sessioni di sesso estremo. E il processo si trasformerà in uno dei primi grandi dibattiti italiani sulla capacità di intendere di volere.
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È l’alba del 15 novembre 1994. Una donna si lancia da un’auto ferma al casello di Vicenza Ovest invocando aiuto. L’uomo da cui chiede di essere protetta è invece seduto, calmo e tranquillo, al posto del conducente: il suo nome è Gianfranco Stevanin. Arrestato per stupro e sequestro di persona, verrà condannato a tre anni. Fino a che, all’interno dei terreni di famiglia, emergono uno dopo l’altro i cadaveri di quattro donne, selvaggiamente uccise e meticolosamente occultate. Quattro omicidi, secondo l’accusa; quattro incidenti, secondo Stevanin, occorsi durante sessioni di sesso estremo. E il processo si trasformerà in uno dei primi grandi dibattiti italiani sulla capacità di intendere di volere.
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