Solitamente, in Argentina, le elezioni di metà legislatura non suscitano molto interesse a livello internazionale. Quest’anno però si sono trasformate in una sorta di referendum, a favore del presidente in carica Milei, con la conquista di 64 deputati (contro i 31 dei progressisti). Un risultato che sorprende rispetto i sondaggi della vigilia, che avevano pronosticato un testa a testa tra la Libertà Avanza e la coalizione di sinistra Fuerza Patria.
Economista di professione e ultra-liberista per vocazione, Milei è in carica da quasi due anni e aveva ripreso un Paese sull’orlo del tracolo, anche a causa di corruzione e clientelismo. Appena arrivato al potere il neo-presidente non ha perso tempo nell’utilizzare soprattutto l’arma dei tagli. Ha ridotto le pensioni, fermato parecchi cantieri pubblici, diminuito i fondi per scuole e ospedali. E ha spinto sul pedale delle privatizzazioni. Tutto questo sta però avendo importanti conseguenze a livello sociale, basti dire che un cittadino su tre vive al di sotto della soglia di povertà. E che i mercati non sembrano dargli molta fiducia, proprio in questi giorni ci è voluto un intervento di Donald Trump in persona, e delle finanze USA, per perlomeno rallentare la perdita di valore del peso, la moneta nazionale.
Dove sta andando l’Argentina di Milei? Cosa dire dei due volti della sua politica economica e finanziaria, che riduce l’inflazione ma accresce la crisi sociale? E quale il ruolo degli Stati Uniti, e anche della Cina, in questo Paese dell’America Latina fin troppo abituato a convivere con il rischio della bancarotta?
Ne discuteremo con
Elena Basso, collaboratrice RSI dal Sudamerica
Antonella Mori, docente di economia politica dei Paesi dell’America latina, alla Bocconi di Milano