Un tempo il calcio era il gioco di tutti. Oggi è diventato il business di pochi.
È lo sport-mondo per eccellenza, ma anche il simbolo perfetto di un nuovo monopolio globale.
Non solo perché concentra potere, visibilità e narrazione, ma perché attira ormai quasi tutto il denaro che gira nello sport.
Sponsorizzazioni miliardarie, diritti TV che valgono più di interi PIL nazionali, fondi di investimento che comprano squadre come fossero startup.
Nel frattempo, sport storici, locali, e persino l’attività sportiva di base soffocano nell’indifferenza, senza copertura mediatica né finanziamenti.
Lo sport, in teoria, dovrebbe promuovere pluralismo, inclusione, accessibilità.
Ma oggi il calcio è una piramide stretta in alto e larghissima alla base: tutti lo giocano, ma solo pochissimi ci guadagnano.
In un sistema dove tutto ruota attorno al pallone, si rischia che il calcio diventi il solo linguaggio sportivo possibile, togliendo spazio, risorse e futuro a tutto il resto.
È ancora sport? O è diventato un monopolio culturale ed economico travestito da gioco?