Questa domenica, le letture ci hanno guidato dentro il cuore della nostra relazione con il Signore, il nostro Pastore. Ho voluto soffermarmi su tre aspetti che mi sembrano fondamentali per comprendere questo legame: la sua sostanza profonda, le sue difficoltà, e la prospettiva eterna che ci apre alla speranza. È un rapporto che ci definisce, ci mette alla prova e ci orienta verso la pienezza.
La sostanza: ascoltare, essere conosciuti, seguire
Nel Vangelo di Giovanni, poche parole tracciano il cuore di ciò che siamo: «Le mie pecore ascoltano la mia voce, io le conosco ed esse mi seguono». Questo è il nostro rapporto con Gesù: ascolto, riconoscimento, sequela. Ho provato a immaginare cosa significhi davvero essere “pecore”. Non è un’immagine solo bucolica: significa riconoscere una voce che ci parla con verità, sapere che siamo conosciuti per nome, e scegliere, giorno dopo giorno, di seguire.
Anche durante l’omelia – sì, con i bambini in chiesa che magari fanno confusione – mi accorgo di quanto questo ascolto richieda concentrazione. Ma è bello, perché ci aiuta a entrare ancora di più nel mistero. Gesù non ci conosce genericamente: sa davvero tutto di noi. E noi possiamo sentirci al sicuro, custoditi. Nessuno ci strapperà dalla sua mano.
Le difficoltà: la voce del Pastore è sempre la stessa, ma cambia volto
Ma allora – mi chiedo – dove la sentiamo, questa voce? Come si manifesta nella nostra vita? Ecco la bellezza (e anche la fatica): la voce del Pastore è sempre quella di Cristo, ma ci arriva attraverso voci sempre diverse. I Papi cambiano – prima Francesco, ora Leone – ma è sempre Gesù che ci parla. Così anche i sacerdoti, i catechisti, i predicatori: cambiano i volti, ma se parlano nel suo nome, è la sua voce che ci guida.
Negli Atti degli Apostoli, ho voluto far notare la figura di Paolo e Barnaba. Due stranieri, ad Antiochia di Pisidia, che entrano in una sinagoga e vengono invitati a parlare. Paolo fa un discorso meraviglioso – invito chi mi ascolta a leggerlo tutto, anche i versetti saltati dal lezionario – e la gente resta colpita. Alcuni li seguono, vogliono saperne di più. E loro si trattengono, dialogano, cercano di “persuaderli a rimanere nella grazia di Dio”.
Questo mi ha fatto pensare: quanti di noi sanno riconoscere quando la voce di Dio ci raggiunge, anche se arriva da qualcuno che non ci aspettiamo? Paolo e Barnaba non erano “dei loro”, eppure erano inviati da Dio. Eppure, accanto all’ascolto sincero, c’è anche l’altra faccia: il rifiuto. Il sabato dopo, la gelosia esplode. Li cacciano via. Alcuni non si ritengono degni della vita eterna. Questa resistenza la conosco, la vedo anche nelle nostre comunità, nelle nostre famiglie, a volte nel nostro cuore.
La prospettiva: un Pastore che ci guida fino alla vita eterna
La terza lettura, tratta dall’Apocalisse, ci regala un’immagine straordinaria: una moltitudine immensa, di ogni popolo, lingua, nazione, che sta davanti all’Agnello. Questo Agnello – che è Gesù – è anche il loro Pastore. Li guida alle fonti delle acque della vita. È una liturgia di lode eterna. Ed è lì che siamo chiamati anche noi. Non è solo un’utopia: è una promessa.
Ci viene detto che non ci sarà più fame, né sete, né arsura. E ogni lacrima sarà asciugata. È questa la fine del nostro cammino, e allo stesso tempo il suo compimento. Ma il cammino comincia ora, qui, nella nostra Antiochia di Pisidia che è Bologna, o il nostro paese, o la nostra parrocchia.
Ascoltare oggi, perseverare ogni giorno
Oggi, nella Domenica del Buon Pastore, preghiamo anche per le vocazioni. Perché ci siano sempre annunciatori della Parola: sacerdoti, religiosi, laici, uomini e donne capaci di far risuonare quella voce che è di Cristo. Ma ognuno di noi è chiamato a fare spazio a questa voce. A non respingerla. A non dire “non è per me”. A non cercare solo la tranquillità, come quelle donne pie che preferivano allontanare Paolo e Barnaba pur di non essere disturbate.
Io ho sentito forte questo invito a perseverare nella grazia. A restare, a custodire la Parola che abbiamo ascoltato, a farla risuonare nel cuore, anche quando non è comoda, anche quando ci chiede di cambiare.
Sì, lasciamoci guidare. Rallegriamoci come quei pagani che glorificavano Dio, pur non essendo i “primi scelti”. Dedichiamo tempo all’ascolto, soprattutto ora, nel tempo pasquale. È un tempo di gioia, di luce, in cui la Parola ci parla in modo ancora più forte.
Alla fine, tutto questo – l’ascolto, la fatica, la fedeltà – ci conduce là dove l’Agnello è il nostro Pastore. Non è un’immagine lontana. È la direzione della nostra vita. E io, come voi, voglio camminare in quella direzione, lasciandomi guidare da Lui, con fiducia, con cuore aperto, insieme alla moltitudine dei salvati.