Oggi le Scritture parlano di stupore, di meraviglia. È lo stesso stupore che provarono i discepoli nel vedere Gesù vivo in mezzo a loro. Un'emozione talmente forte che, per la gioia, quasi non riuscivano a crederci. E mi colpisce che questo stupore non sia solo loro: anche la gente di Gerusalemme, davanti allo storpio guarito da Pietro e Giovanni, è piena di meraviglia. Era un uomo semplice, storpio dalla nascita, probabilmente mai entrato nel Tempio. E ora è lì, guarito. È un'immagine potente.
Un incontro tra lo storpio e Papa Francesco
Pensando a questa Eucaristia in memoria del nostro carissimo Papa Francesco, sento che anche in me c’è uno stupore profondo. Uno stupore per la sua persona, per il suo ministero. In questi giorni ripenso spesso ai primi momenti dopo la sua elezione: la semplicità dei gesti, la forza delle parole, la sua umanità. Ma mi chiedo: qual è la radice di tutto questo?
Mi viene in mente la figura dello storpio. Non per fare paragoni irriverenti, ma perché vedo in lui un'immagine che può affiancarsi a Papa Francesco. Pietro lo dice chiaramente: non è per nostro potere o religiosità che quest’uomo è stato guarito, ma per la fede nel nome di Gesù. È questa fede che gli ha dato vigore. E così anche Francesco: la sua forza non veniva da cariche o titoli, ma dalla fede nel nome di Gesù. Una fede che traspariva in ogni sua omelia, in ogni discorso, anche quando si trovava davanti ai potenti della terra.
Io lo ricordo in particolare quando venne in Terra Santa, un anno dopo l’inizio del suo pontificato. In quell’occasione celebrò la Messa al Cenacolo. Era un luogo dove non si poteva celebrare, e io ero lì, occupandomi di comunicazione. Riuscii a infilarmi tra i fotografi, ma a un certo punto misi via la macchina fotografica. Volevo solo vivere quel momento. Il Papa al Cenacolo, con il Patriarca, tutta la Chiesa di Gerusalemme… e il suo modo di celebrare, così essenziale, così radicato nel Vangelo, mi colpì profondamente.
Penso poi a un secondo aspetto che lo accomuna a quello storpio: la piccolezza. Anche Francesco era un uomo tra la gente, che sapeva guardare negli occhi, che incontrava l’altro con affetto, con uno sguardo paterno. Ed è questo che commuoveva: la sua semplicità, la sua umanità. Anche nella malattia, nella vecchiaia, nella voce che si spegneva, in quella fragilità estrema che è la morte, in lui brillava la potenza della grazia di Dio.
Come lo storpio, anche Francesco si aggrappava – alla fede, al Vangelo. E come Pietro e Giovanni, anche noi siamo chiamati a fare un passo. Pietro parlava alla gente di Gerusalemme, li invitava a convertirsi, a cambiare vita. Anche noi abbiamo una responsabilità. Davanti a figure così belle, così forti, non possiamo restare spettatori. Siamo chiamati anche noi alla conversione, a prendere sul serio il Vangelo.
La Parola come guida, la testimonianza come missione
Gesù lo dice chiaramente: dobbiamo tornare alla Parola. Solo lì troviamo la luce che ci guida, come i discepoli di Emmaus. Ma non basta ascoltare. Siamo chiamati a essere testimoni. Nonostante i nostri limiti, le nostre fragilità. Gesù ha affidato l’annuncio del Vangelo a uomini imperfetti. E lo fa anche con noi.
Mi sento chiamato in prima persona a testimoniare il Vangelo. Anche parlando di Papa Francesco. Ma soprattutto vivendo come lui ci ha insegnato: con semplicità, con fede, con la vita donata. Anche noi, come diceva Pietro, siamo profeti. Non per il potere, non per ottenere qualcosa, ma per vivere il Vangelo nella nostra piccolezza quotidiana.
Questa testimonianza è richiesta qui, adesso, dove siamo: nel nostro lavoro, tra i nostri familiari, con i figli e i nipoti che magari non vengono più a Messa. Eppure la nostra testimonianza può accendere qualcosa. Non dobbiamo preoccuparci dei risultati. Lo stupore che ha toccato i discepoli e la gente di Gerusalemme può toccare anche chi ci sta vicino.
E allora ringrazio il Signore per Papa Francesco, per quello che ci ha mostrato. E prego di avere anch’io un po’ della sua forza, della sua fede, per testimoniare Gesù nella mia vita.