Mentre a Washington lo shutdown paralizza agenzie federali, stipendi e servizi pubblici, a New York si respira aria di cambiamento. La vittoria di Zohran Mamdani, primo sindaco apertamente socialista della città, racconta una metropoli che si muove in direzione opposta rispetto alla crisi del governo federale. Da un lato, la macchina statale bloccata da scontri su bilancio e welfare; dall’altro, la capitale economica del Paese che ha voglia di sperimentare nuove politiche sociali, sul lavoro, la casa e il trasporto pubblico. Mamdani non ha alcuna intenzione di scusarsi per essere musulmano e socialista, punta sulla hit di Bollywood “Dhoom Machale” per salutare i suoi elettori, cita Nehru e la sua “Tryst with Destiny” (“Appuntamento con il destino”), ripete la parola “hope” (“speranza”) che tanto cara fu a Barack Obama, dice che sarà il sindaco degli ebrei (anche di quelli che non lo hanno votato) dopo che Trump gli ha provato a scagliare contro tutta la comunità ebraica newyorkese. A New York il consenso nei suoi confronti nasce nei quartieri popolari, dove la promessa di un’economia più equa e sostenibile trova terreno fertile tra giovani, precari e nuove comunità di immigrati. La “Grande Mela”, però, non è l’America e il Partito democratico non è ancora (e chissà se mai lo sarà) “mamdanizzato”. Ne discutono a Macro Mario Del Pero, Professore di Storia internazionale e Storia degli Stati Uniti a SciencesPo, Parigi, e Matteo Muzio, Direttore di Jefferson – Lettere sull’America