Per la redazione Valentina Alberta dialoga con Alessandro Trocino, giornalista del Corriere della Sera e autore di Morire di pena: 12 Storie di suicidio in carcere, un libro che dà un volto ai detenuti morti in carcere, raccontando chi erano, le loro storie e le ingiustizie subite dentro il sistema carcerario.
Le carceri italiane sono luoghi di sofferenza invisibile, dove il numero dei suicidi continua a crescere nel silenzio generale.
Il sistema penitenziario italiano è caratterizzato da sovraffollamento, scarse risorse e da ottusità burocratica e opacità istituzionale che impediscono un reale controllo democratico su ciò che accade dietro le sbarre, nascondendo storie di disperazione.
L’assenza di prevenzione e assistenza adeguata condanna molti detenuti a un destino segnato, mentre lo Stato, pur avendo il dovere di custodia, troppe volte rimane indifferente.
La detenzione non è più riservata ai criminali più pericolosi: oggi in carcere finiscono sempre più persone con problemi psichiatrici, tossicodipendenti e indigenti, trasformando il sistema in una “discarica sociale”, dove nascondere quel terzo della società che si considera perso, delineando “la società dei due terzi” dello scienziato sociale e politico tedesco, Peter Glotz: che così intendeva descrivere la divisione tra «garantiti» e «non garantiti».
L’informazione spesso si limita a numeri e statistiche, ma dietro ogni suicidio c’è una storia, un volto, una famiglia: una persona.
La narrazione deve cambiare, così come la politica quado trasforma lo Stato sociale in Stato penale.
Il carcere è un tema che riguarda tutti noi.
Non è solo questione di giustizia, ma di diritti umani, di società, di quale modello vogliamo costruire, di responsabilità.
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